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Le contestazio,,.i veneziane

periodo degli esami. E cosl la contestazione

falli sul nascere. Mancò la volontà, ma più

di questa mancava una lucida valutazione

della realtà oggettiva . Nessuno parve prepa–

rato a proporre un nuovo statuto. Ma quello

che, oltre allo statuto, era importante esa–

minare e discutere concerneva

il

tipo d'ar–

te e di cultura artistica di cui l'esposizione

vantava ed esaltava i valori. Era importante

chiarire se tali valori concordassero con le

premesse della contestazione, se fossero o no

accettabili come valori rivoluzionar i, opposti

e contrari alla cultu ra borghese, di condanna

oppure di copertura snobistica del

«

siste–

ma».

Su QUESTOPUNTOil discorso poteva di–

ventare serio ed interessa nte. E non vedo co–

me si sarebbe potuto dimostrare che l'arte

esposta alla Biennale non

è

l'arte ufficiale del–

la società che s'inte nde rifiutare in quanto

«

consumistica

»,

corruttrice nel suo ridurre

tutto a merce e perciò repressiva d'ogni slan–

cio e ingenuità naturale, d'ogni spirito umani–

stico e nella quale ogni individualità, come di–

ce Monta le, si trova ad essere

«

pensata e agi–

ta

»

da forze superiori. L'ambiguità di un'arte

e di una cultura i cui rappresentanti si dicono

di sinist ra, mostrandos i pronti a vegliare e

sottoscriveie manifesti per

il

Viet nam ma

non per la Cecoslovacchia, desiderosi di pre–

mi, di riconoscimenti ufficiali e delle grazie

capitalistiche, non

è

ancora stata oggetto di

contestazione, né pare aver destato sospetti

nelle coscienze rivoluz ionarie degli studenti

d'arte, i più qualificaù a giudicarla. Eppure

bisognerà che essi affrontino la situazione sul

piano estetico affinché la loro protesta si tra–

sferisca sul terreno più pertinente di quello

genericamente politico e un tantino demago–

gico,

sul

quale si sono mossi fìnora .

Senonché le contesrazioni che mirano in

profondità vanno preparate in profondità e

attuate con chiarezza d'idee (preferibilmente

sensate) . I grandi nemici dell'azione coscien–

te, come dell'arte, resterann o sempre

il

sem–

plicismo,

il

facilismo, il tatti cismo sorrett i

dall'arroganza e magari dalla violenza . Se la

disponibilità organizzativa e persuasiva impe–

disce a un'esigua minoranza la capacità di

sovvertire un ordine dato, specie allorché si

tratta

di

un ordine d'idee, la violenza fisica,

attiva o passiva, non serve a niente.

È

de–

stinata anzi a soccombere alla forza di rea–

zione. Cosl

è

fallito il tentativo di occupare

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il palazzo del cinema al Lido, nella conte–

stazione di agosto. Dopo che i dirigenti della

Mostra cinematografica avevano dichiarato

che la legalità, ossia Io svolgimento regolare

della manifestazione, sarebbe stata tutelata

ad ogni costo, era perlomeno ingenuo, da

parte degli oppositori, pretendere di attuare

l'occupazione partendo dalle limitate conces–

sioni strappate ad essi. Avuto

il

permesso di

riunirsi per un tempo determinato nella sala

Volpi, i contestatori, alla scadenza dell'impe–

gno, ottennero una proroga . Alla seconda

scadenza opposero la resistenza passiva. Poi

furono portati fuori dalla polizia (a Zavatti–

ni

fu

usato un trattamento speciale, di estre–

mo riguardo). Fuori però

li

aspettavano i

«

lavoratori

»

del Lido già innervositi dalla

indemente meteorologia estiva, affatto anci–

turistica. Volò qualche pedata

«

fascista

»

a

qualche attivista di quello che Pasolini ( in

un primo tempo) chiamò

«

fascismo di si–

nistra

».

Epiteto che rinfoderò in un secondo

tempo, quando decise

di

schierarsi anche lui

contro la mostra (ma fino a un certo punto).

QUALCHE INCERTEZZA e confusione serpeg–

giava da una parte e dall'altra. Dalla parte

perdente si può osservare che Pasolini, col

suo volere e non volere, contribul più degli

altri, perché più ascoltato, al dissolvimento

della contestaz ione. La mattina che

il

suo

film

fu

presentato alla stampa esortò i gior–

nalisti a un atto di coraggio, invitandoli a

uscire con lui dalla sala, prima della proiezio–

ne. Non lo seguirono che quattro o cinque

persone. Ne fu amareggiato? Il dubbio

è

le–

cito . Un cineasta greco gli disse di es~ere

pronto a entrare con lui nella cabina di pro–

iezione per impedire agli operatoti di proiet–

tare il film. Era quello che si doveva fare,

dal momento che

il

produttore ne imponeva

la presentazione. Pasolini oppose

il

suo dis–

senso. Al che il cineasta greco lo lasciò con

un sorriso ironico e rientrò in sala.

Quest'ultima ambiguità pasoliniana può

essere forse compresa e scusata: la contesta–

zione aveva fallito

il

suo primo e principale

obbiettivo (l'occupazione e l'autogestione

della Mostra) e a quel momento l'intransi–

genza non serviva più, semmai si ritorceva

a danno degli interessi dei cineasti contesta–

tori, ossia dei loro film; tanto valeva sfrut–

tare cinicamente la situazione e lasciare che

essi fossero presentati. Pasolini, in ogni mo–

do, trovò la forza di mantenere fermo l'u!ti-