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a prestarsi alle critiche e alle proteste

1

che

cosa resterà da contestarle? Evidentemente

i

risultat i che darà nelle varie discipline . -Il

guaio

è

che allora tali risuJtati dipenderanno

in gran parte da uno statuto non più inerte

e trascurabile, al contrario attuale e vinco–

lante. Sarà molto più difficile da parte degli

artisti e dei cineasti parlare ancora di

«

au–

togestione

»,

di

«

occupazione pacifica

»,

di

«

assemblea costituente», invocando la

rifor–

ma

di

struttu re

già

riformate grazie appunto

alle contestazioni di giugno e di agosto. Per–

ché, se non

è

certo,

è

verosim ile e probabi le

che se ne terrà conto anche se hanno dato

spettacoli ambigui e penosi, e prodotto ef–

fetti tutt'altro che concludenti; essendo sta–

te, anzi, un vero fallimento.

LA CONTESTAZIONE di giugno alla Bienna–

le d'arte

falli

non tanto per lo spiegamento

delle forze di polizia, senz'altr o abnor me, ma

per la mancanza di chiarezza di chi protesta–

va (artisti, studenti delJ'Accademia e di archi–

tettura). Il loro discorso era essenzialmente

politico ma con argomenti deboli. Volevano

impossessarsi della Biennale, considerata dai

giovani rivoluzionari una delle « malattie del

capitalismo

». (

Gli artisti che parlano di po–

litica sarebbe bene non starli a sentire. La po–

litica

è

un'arte o una scienza che non tollera

candori e ingenuità. Neppure quelli ~ a livello

utopistico, dei pensatori della nuova sinistra

come Marcuse. Basta leggere la sua recente

«

prefazione politica

»

a

Eros e civiltà

per

rendersi conto come del senso politico lo scrit–

tore mostri di avere una nozione alquanto im–

propria). Contestare la Biennale in quanto

istituzione del sistema borghese sarebbe sta–

to un attegg iamento abbastanza chiaro se

portato razionalmente e coerentemente fino

in fondo. Si fermò invece a metà strada e

qui si confuse con un'altra questione, quella

della polizia mobilitata dall'auto rità per im–

pedire eventuali danni soprattutto ai padi–

glioni ester i, e quindi il sorgere di incident i

diplomatici. La presenza dei poliziotti ai Giar–

dini suscitò l'indignaiionc di molti art isti,

in piccola parte anche stranieri ,

i

quali stac–

carono i loro quadri dalle pareti, li appog–

giarono rivoltati ai piedi dei muri, coprirono

le loro sculture con carta d'imballaggio , sbar–

rarono l'ingres so alle sale d'esposizion e, ap–

pesero cartelli con scritte come : « Via la

polizia

»,

« Polizia fascista

»,

«

Non accettia–

mo di esporre in queste condizioni

»

eccetera.

Gino Visentini

La protesta contro la polizia, comincia–

ta all'interno della Biennale

il

primo giorno

della «vernice», si estese due giorn i dopo in

piazza san Marco, dove per tutto un pome–

riggio, fino a notte alta, si assisté a uno stra–

no balletto che si potrebbe chiamar e

«

della

fisarmonica ».

I

poliziotti stavano sotto

iJ

portico delle Procuratie nuove , tra il cam–

panile e il caffè Florian.

I

dimosttanti , un

gruppo comprendente artisti rifiutati dalla

Biennale , studenti anarchici e maoisti, attivi–

sti di partito, stavano di fronte ad essi dal–

l'altra parte della piazza. Avanzando prude n–

temente di un passo alla volta, agitavano il

braccio col pugno chiuso gridando e iteran–

do

slogans

di dileggio e di sfida. Quando

la distanza tra dimostranti e poliziotti si ac–

corciava (a opinfone

di

questi) un po' trop–

po, i poliziotti scendevano i gradini del por–

tico e si schieravano sulla piazza. A questo

semplice movimento di reazione, i dimo–

stranti arre travano precipitos amente . Ma po–

co dopo si ricomponevano e ricominciavano

ad avanzare rincarando la dose delle invetti–

ve. Fino a che, giudicando eccessive le pro–

vocazioni, I'ufficiaJe che comandava il ploto–

ne dava l'ordine di caricare. E allora i po–

liziotti

si

scatenavano alla caccia dei dimo–

stranti , che prendevano la fuga in ogni di–

rezione e cercavano di salvarsi disperdendosi

nell'intrico delle calli. Passava un po' di

tempo, tornava la calma. Poi il balletto ri–

prendeva da capo. S'andò avanti così per

ore e ore. Naturalmente le orchestrine del

Florian e del Quadri tacevano, i negozi ave–

vano abbassato le serrande e ]a piazza s'era

trasfortl)ata in un'arena . Segnarono la fine

dello spettaco lo i dodici rintocchi battuti dai

Mori sulla campana delJ'Orologio. Era du–

rato anche troppo e non era stato neppure

divertente.

La contestazione aveva deviato nella pro–

testa di piazza contro la polizia, sospendendo

il giudizio sul motivo di fondo: la Biennale

come istituto d'una cultura borgh ese, stru–

mentalizzata dal sistema capitalistico. Non era

possibile occupare

i

padiglioni , ma avviare un

dibattito fuori dei Giardini , ad esempio al–

l'Accademia di belJe arti, bloccata dagli stu–

denti che la occupavano da mesi, era invece

possibilissimo. L'impressione che gli studen–

ti fossero delusi dalle piazzate non tardò

ad apparire chiara. E tuttavia, invece di or–

ganizzare una discussione contestativa, pochi

giorn i dopo tolsero il blocco. Era venuto

il