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una compagna,

è

una donna non comune. Se

è

comune (come

fu

Jeanne Duval) , l'infer–

no che

gli

procura

è

eccezionale. In caso di

etere

femmina (raro) , l'animale generalmen –

te incomprensibile - la matrice -

è

un uc–

cello o un serpente favoloso, sempre mala–

to, inadatto alla sua funzione, preg nante di

isterico.

L'automobile , automa utile , in questa

grandezza ,

è

un dono dell'Abbonito inaccet–

tabile . Satana offra agli

altri

questo suo do–

no : riservi, a noi, altro. Noi non

li

possiamo,

quei gesti che tutti compiono senza affatto

pensarci. Pensandoci, la mano a noi cade.

Qualcuno di noi sedette nelle carrozze dei

re. La nostra morte ha commosso tiranni

(Luigi XIV a Boileau per Racine, Stalin alla

vedova di Bulgakov). Noi non la possiamo,

questa brutalità del tempo che chiude il ric–

co c il povero nella stessa gabbia veloce. La

nostra simpatia per gli alberi tagliati, per le

piazze merav igliose trasfor mate in parcheggi

asfaltati , per le montagne scalate dalle auto–

strade ,

è

una prigione dogmatica. Vadano

pure in auto i falsi chierici ,

i

preti , le mona–

che, i cardinali ,

i

pastori, i patriarchi , tutti

quelli che accettano la profaAazione della

natura per fini util itari: noi non ci andiamo.

Nessun antico scrittore

è

immaginabile in

quei gesti volgari. Nessun moderno, dei buo–

ni: la timidità soave di un Kafka, la gran

bontà hidalgica di un Machado. La morte di

Camus , distrutto in una macchina ai duecen –

to orari, non

è

un esempio imitabile. Così

non può rischiare un

e/ere,

quest'essere uni–

co, di morire .

AMO

il piccolo popolo mattire, di stra–

vaganti , di letterati , di refrattar i, di scomo–

di (quasi tutti, per me, sconosciuti) in cui

•mi muovo e sono. Odio il popolo che l'op–

prime. A Roma, città dominata dagli auto–

mobilisti più malvagi, dai motociclisti più

perversi , ho imparato quest'odio. Esco da

certi bagni di moltitudine automobilistica

mortalmente prostrato. Vedere le loro facce

mi degrada , muovermi tra i loro automi, di–

speratamente , mi avvilisce a sangue. La per–

cezione dei miasmi umani

è

già così doloro–

sa e forte che basterebbe alla sofferen za in–

cessante del percettore, senza aggiunta di gas

tossici e rumori prodotti da migliaia di mo–

tor i accatastati, immobili nel crepusco lo at-

Guido Ceronetti

territo. Beato chi ebbe , per meditare sull'of–

ferta del proprio sangue alla nott e umana ,

un bell'orto pieno di ulivi, tra compagni che

russavano in pace.

Urlo , mi dimeno , grido la mia offesa e la

mia paura. La bestia premuta dai cani, nel–

la solitudine tragica delle strisce , getta il suo

mugollo affannato. Ecco le facce deformate

dall'an sia di correre , le dita contratte su cui

posa l'angelo Abaddò n il suo artiglio di ra–

pace. Al sicuro, per poco, su un da lzo, aspet–

to con ferocia uno scontro. Immagino un

potere magico nel mio occhio capace di dis–

solvere nell'aria quello strepito infame, tutti

gli automi coi loro disperati abitatori:

li

guardere i e non sarebbero più. Il coltello,

la pistola , la chiave inglese, i calci, i pugni,

sono le armi abitual i, per i suoi regolamenti

di conti interni, del popolo oppr essore . Per

ogni vitt ima nostra che cade, la vergine

ramnusia falcia venti di loro. I loro giorni

di vacanza sono giorni di strage. I padri uc–

cidono i figli, i mariti le mogli, i fratelli le

sorelle, gli amanti le amanti , i vecchi i

giovani ,

i

giovani i bambin i: ciascuno uccide

ciascuno , col pretesto di una gita. Parto no

aggrovigliati per una merenda cattiva in una

città lontana: la Morte ne fa una grande frit–

tata coi ventri digiuni. Le pasque e i ferra–

gosti sono fosse comuni.

Ma questo non

è

che l'inizio. La corsa al–

l'automa

è

irrefrenabile. I mercati getteran–

no sugli asfalti altr i milioni di macchine,

tri–

lioni di autom i. Allora le attuali magre stra gi

diventeranno enormemente grasse. Non ci

sarà un chilometro di bitume senza un me–

tro di sangue. Non ci sarà un metro di asfal–

to

senza qualch e centimetro di sangue . Tut–

tavia diminuirà , con l'ingrandir si e norma–

lizzarsi la distruzione , l'effetto prodotto. Non

avremo più sociologi meravig liati, moralisti

in scandalo . Una

fila

ininterrotta di auto–

mobilisti morti sulle strade non farà più

ef.

fetta di un intero quar tiere scompar so nelle

stufe merculiari durante la grande epidemia

venerea o di un bubbonico

in

tempo di bub–

bonica , o di qualche schiavo crocifisso sulle

vie consolari. E noi non ne avremo consola–

zione. Noi che non abbiamo voluto essere

come loro saremo estinti, le mani pure. Noi

non rideremo e non piangeremo più .

Gurno

CERONETTI