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Guido Ceronetti

Apologia di una

1n via

di

minoranza

estinzione

C

1

È

UN PICCOLO POPOLO,

con una sua ci–

viltà umanissima, natura ·lmente minac–

ciato

di

distruzione, tra

i

più oppressi della

terra: il popolo dei privi di automobile che

automobile non amano e non vogliono, igno–

rano come mezzo, trascurano come fine.

Appartengo a questo popolo e come ogni

minoranza segregata e malvista soffro, odio,

vivo estatico. La nostra sorte

è

penosissima.

Il diritto all'esistenza non

ci

è

riconosciuto

da nessuna carta : viviamo, finché la maggio–

ranza acconsent irà a tollerarci. La possibili–

di

una

«

soluzione finale

»

del nostro pro–

blema, da parte dello Stato , per purgare la

società

di

qualche recinto di refrattari, con

mezzi adeguati , non dev 'essere esclusa. Si

cerca

di

corromperci per assimilarci: se resi–

stiamo ,

il

palco sanguinoso delle strisce pe–

donali ci aspetta . Molti, troppi di noi pas–

sano ogni giorno, con giustif icazioni che non

li sfangano, alla scomposta falange della

maggioranza trionfante , e diventano perico–

losi zeloti della fazione dominante , nemici

mortali del popolo che hanno abiurato. Con–

templiamo la nostra sera, come vecchi paga–

ni eroici. Come civiltà e come gruppo etni–

co ci estinguiamo .

I

nostri

figli

non si cir–

concidono. Restiamo vivi come lievito invi–

sibile, gentilezza umbratile , barlumi disper–

si. Finché uno di noi sarà vivo, saremo una

deplorazione silenziosa ma, per la maggio–

ranza che (alla lettera) ci schiaccia, insop–

portabile .

Voglio dire qui tutta la bellezza di essere

uno di questo popolo morente . Conosco la

miseria

di

essere un uomo, e la dolcezza di

essere un uomo privo

di

automo bile la tem–

pera. Questa privazione

è

una pioggia di ab–

bondan za negativa: una ghirlanda di

non

ra–

diosi alle mie tempie . La mia esistenza non

è

legata alle norme che disciplinano la circo–

lazione automobilistica. Non devo compie–

re continuamente una quantità

di

gesti, su–

perflui per la conservazione della vita e l'au –

mento della conoscenza, volgari e quasi in–

nominabili (accensione, chiusura, pieno, so–

sta, pagamento di tasse, multe eccetera).

Non rischio di uccidere. Non imparo a sot–

tomettermi a un automa . Non aggiungo

i

gas di scarico del mio mezzo alla pasta pesti–

lenziale che ha preso il posto dell'aria pu–

ra nelle strade. Non tormento con rumori

crudeli e inutili gli orecchi e i nervi di al–

tri esseri viventi. Non obbligo lo Stato a

distruggere campagne pure per servirmi di

un'autostrada. Non occupo, in una concen–

trazione di esseri umani, macchine, edifici,

sempre più violenta , altro spazio che quel–

lo che circoscrive e compenetra la rigoro–

sa magrezza del mio corpo. Quando la mei–

tà che

il

mio aggregato soffolce sarà rotta

e non ci sarà di me più traccia di quella

di un uccello nell'aria, non ci sarà una mac–

china ingombrante

che test imonierà

cl.i

parte mia un eccesso di usurpazione della

terra genitrice, e che per fare meglio spa–

rire il mio ricordo bisognerà in fretta ven–

dere o mandare alla disgregazione in una

fossa comune, insieme al suo proprietario.

Evito malattie da sedentarietà, quelle che

il Tissot -

De valetudine litteratorum

-

definiva quasi delitti dei lett erati

(culpae