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senza soggetto,

è

altrettanto vero che

i

sog–

getti sono senza opere. Se la conoscenza

è

staccata dall'esistenza,

è

chiaro che l'esisten–

za

è

incompatibile con la conoscenza, rimane

al difuori di essa. Si tratta di una discordia

insanabile. Il nodo in cui si dibatte Antoni~

Artaud

è

costituito da un'oscillazione senza

scelta fra il dritto e il rovesc io di questa fi–

gura.

Eraclito sapeva che tutte le cose, una vol–

ta tese come la corda in senso inverso all'ar –

co o scosta te l'una dall'altra come le corde

della lira, ricompo ngono un'armonia con un

movimento contrario.

Il

frammento

51°

che

di lui ci

è

rimasto dice infatti:

«

Ciò che

è

in sé discorde si accorda con se stesso: ar–

monia per opposte tensioni, come nell'arco

o nella lira ». Quando sotto una cultura si

sta formando il vuoto, la prima cosa da fare

è

andare a esaminare

i

suoi motivi contra–

stanti:

«

Polemos

è

la legge comune e la

giustizia

è

lotta

».

E più oltre:

«

Dentro di

noi

è

la stessa cosa il vivo e

il

morto, e Io

sveglio e il dormient e, e

il

giovane e il vec–

chio: queste cose, infatti, tramutandosi so–

no quelle , e quelle a lor volta tramutand osi

sono queste

».

Forse que lla rocca di Cer isy,

con la sua variegata difesa del linguaggio,

somigliava a una corda tesa.

In una civiltà in cui tutto si istituzionaJiz–

za, subisce rapidamente un processo di scle–

roti zzazione, e rapidamente invecchia,

«

la

corsa dei contrari

»,

come la chiama Eracli–

to, avviene secondo

«

una necessità fatale

».

Quando il sottosuo lo dostojevskiano affio–

ra sulla crosta della civiltà, vuol dire che

l'ordin e costi tuito deve scendere a patti :

mantenerlo inalterato

è

come imbalsamare

un cadavere. Non per niente tutta l'opera di

Doscojevski non

è

che la ricerca senza spe–

ranza di un'ideologia attraverso

il

caos dell'e–

sistenza o di un'esistenza attraverso la mol–

tep licità delle ideologie : cristiana, progressi–

sta, nihi.lista.. Si può citare quasi a caso

dalle

Memorie del sottosuolo:

«

Che fare dei

milioni di fatti che testimoniano come gli

uomini

scie11teme11te,

cioè comprendendo ap–

pieno

i

loro veri vantaggi,

li

lasciassero in

secondo piano e si butta ssero su un'altra

strada, al rischio, all'avventura, da nessuno

And rea Frullini

e da nulla costrettivi, ma come se non desi–

derassero appunto solo la strada indicata, e

ostinatamente, di loro arbitrio se ne apris–

sero un 'altra , difficile , assurda , cercandola

poco meno che

nel.le

tenebre?

».

E con una

ironia pungente da sgonfiare Marcuse:

«

E

tutto questo per la cagione più futile , alla

quale sembra che nemmeno metta conto di

accennare : precisamente perché all'uomo,

sempre e dappertutto, chiunque fosse, è sem–

pre piaciuto agire come voleva, e niente af–

fatto come gli ordinavano la sua ragion e e

il

suo vantaggio; e la volontà si può esercitarla

anche contro il proprio vantaggio , e a volte

anche

si deve positivamente

farlo (questa

è

già una mia idea). Il nostro proprio volere,

spontaneo e libero, il nostro proprio capric–

cio, anche se stravagantissimo, la nostra fan–

tasia, irritata a volte magari fino alla pazzia,

rutto ciò

è

appunto quello stesso vantaggio–

sissimo vantaggio tralasciato , che non rien–

tra in nessuna classificazione e a causa del

quale tutti i sistem i e le teorie se ne vanno

continuam ente al diavolo. E donde hanno

desunto tutti questi savi che all'uomo occor–

ra un volere normale, virtuoso? Come mai

hanno immaginato proprio che all'uomo oc–

corra un volere che sia propr io saggio e van–

taggioso? All'uomo non occorre altro che un

volere

indipendente,

qualunqu e cosa costi

questa indipendenza e a qualunque cosa con –

duca. Be' , e il volere lo sa il diavolo ...

»

Dalla separazio ne del

c6té existe11ce

dal

c6té lecture-écriture

tuttavia qualcosa si

è

salvato . Anzi direi che si

è

salvata la sostan–

za: il gusto di una cultu ra che, seppur ridot–

ra ai suoi moventi essenziali, non

fa

che

ri–

produr si in una luce più vivida . Forse la sua

dinamica, la sua natura si situa proprio in

quel divario. Il suo equilibrio

è

nel rinnova–

mento , in quel suo ricostituir si continuamen–

te come un evento totalizzante. Ed

è

proba–

bilmente questa

la

ragione per cui la cultu–

ra e le ist ituzioni di una civiltà sono sempre

dispar i, nella crescita come nella decadenza.

Il livello di una civiltà si misura infatti sui

limiti enrro i qual i

è

tratt enuto questo di–

vario, sulla capacità di adeguarsi alle istanze

che la regolano.

ANDREA FRULLINI