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re.

E non aveva forse detto Valéry che l'au–

tore, l'artigiano

di

un'opera,

n'est positive–

meni personne?

Ma si può citare Thibau–

det che, a proposito di Brunetière, scriveva :

«

Mentre legge un libro, pensa a tutti i libri

che sono stati scritti dopo la creazione del

mondo

».

Thibaudet certame nte sentiva di

essere estremamente vicino al limite in cui

Mallarmé ha spinto l'allucinazione del Libro.

Anche Blanchot si muove in questa costella–

zione, definendo la letteratura

«

il

linguaggio

di

nessuno,

la serittura di uno scrittore ine–

sistente, la

luce

di una coscienza privata di

un io

». È

la situazione di Mallarmé quale

ce la descrive ancora Thibaudet: Mallarmé

ha fatto della poesia soltanto per precisare

l'essenza della poesia, non

è

andato a teatro

che per cercare l'essenza del teatro ...

Da una parte quindi una critica che per

Poulet inizia con un atto d'identificazione,

con

1a

ricerca

di

un soggetto,

di

un io inte–

riore : una critica capace

di

coincidere con

un centro vitale per potersi muovere dal cuo–

re alla periferia, dall'interno all'esterno: pro–

tesa a definire

il

suo oggetto, a marcare i

contorn i di una individualità unica. Una cri–

tica che Rousset contrappone al

«

jeu com–

binatoire.. indépendant de la conscience

»

citando Lévi-Strauss, e domandandosi poi:

«

Il concetto cosl definito e lo strutturali–

smo che comporta sono utilizzabili tali e

quali dalla critica letterar ia, almeno da quel–

la che più spesso guardiamo, quella che non

separa l'opera da un soggetto creatore?».

Doubrovsky non parla nemmeno di Saussu–

re, magari

lo

utilizza ma sempre senza nomi–

narlo. La

parole

non

è

forse il frutto diretto

deUa

langue,

e non si ricostituisce forse que–

sta immediatamente al primo emergere di

quella? Infatti egli afferma perentoriamen–

te:

«

Nel corso di questo colloquio, e in rea–

zione contro la critica di identificazione di

Georges Poulet, di simpatia di Jean-Pierre

Richard, delle relazioni vissute di Jean Sta–

robinski, di comprensio ne totalizzante di

Sartre, in breve, in opposiz ione a ogni ap–

proccio esistenziale, abbiamo assistito alla

affermazione molto netta di un orientamento

inverso, caratterizzato da ciò che chiamerei

la liquidazfone generale dell'esistenza.

Innan–

zitutto, questo essere singolare ·che è l'auto–

re scompare dalla letteratura

».

Sulla falsa–

riga delle riflessioni

cli

Mallarmé sulla lette–

ratura, e assistito sempre da Blanchot, ag–

giunge ancora:

«

L'opera comincia ad esiste-

Andrea Frullini

re quando ogni traccia di firma scompare, e

bisogna prendere firma nel senso in cui (

Mi–

che! Foucault ce lo ha ricordato recentemen–

te) si supponeva, nel XVI secolo, una rasso–

miglianza e una complicità fra

il

segno e

il

significato , una sorta di presenza, di prefor–

mazione del significato nel segno. E senza

dubbio bisogna anche prendere la morte in

senso simbolico: l'autore

muore

nell'istante

in cui la sua creazione si richiude su se stes–

sa e lo lascia. La pubb licazione del libro se–

gna la scomparsa dell'autore . Per corollario,

e poiché si ripete abbastanza che

il

critico

è

anche uno scrittore, vi è soppressione del

critico nella critica

».

Ma a questo punto la critica diventa

«

una

aggiunta di scrittura», un prolungare il gio–

co seguendo le regole di un testo: rimetten–

done in moto il meccanismo e riproducendo–

ne lo spazio, nella maniera in cui la disegna–

va Jacques Derrida nel numero 32 di

Te/

quel.

E non lontane dagli studi sulla

gram–

matologie

di Derrida sono anche affermazio–

ni come questa dovuta a Genette:

«

Il

testo,

è

questo anello di Moebius in cui la faccia

esterna e

la

faccia interna, superficie signifi–

cante e superficie significata, Iato di scrittu–

ra e lato di lettura, girano e si scambiano

senza tregua, dove la scrittura non cessa di

leggersi. dove la lettura non cessa di scriver–

si e di inscriversi. Anche la critica deve en–

trare nel gioco di questo strano circuito re–

versibile, e divenire cosl, come dice Proust,

e come qualunque vero lettore,

il

proprio let•

tare di se stesso.

Chi gliene facesse rimpro–

vero mostrerebbe semplicemente con ciò che

non ha mai saputo che cosa

è

leggere

».

Neanche Doubrovsky

è

molto lontano da

Derrida, anzi è vicinissimo, quando dke :

«

Dei segni su dei segni, della scrittura su

della scrittura, secondo certi rapporti rego•

lati, senza dubbio, ma senza

nessuno

per si–

gnificare né per scrivere:

il

discorso forma

una totalità che non rinvia che a se stessa,

cioè a un congegno di strutture significanti,

e non, fondamentalmente, al

progetto

di una

coscienza creatrice e alla sua ripresa da par–

te di una coscienza spettatrice

».

In tal modo gli autori degli

Chemins ac–

tuels de la critique

vengono a somigliare

l'uno alla superficie rovesciata dell'altro, op–

pure si compongono, come in certi giochi per

bambini le superfic i di legno variamente in–

tagliate che si incastrano l'una nell'altra. Ad

esatta immagine della scrittura di Derrida,