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È

possibile un'arte felice?

nazioni realizzate dai servo-meccanismi ciber–

netici».

Due, pertanto sono le circostanze prin–

cipali che rendono questa mostra un evento

del tutto insolito nel contesto in cui avven–

gono normalmente le

esposizioni

d'arte. La

prima

è

che nessun visitatore, a meno che

non vada a leggersi in ogni dettaglio le note

su tutti

i

«

pezzi

»

e

i

meccanismi esposti,

è

in grado di accertare chi realmente li ab–

bia realizzati, se artista o ingegnere, mate–

matico o architetto; né saperlo

è

in defini–

tiva granché importante ai fini della fruizio–

ne. La seconda è ancora più suggestiva. I

nuovi

media

come

i

materiali sintetici, le

partiture

di

musica visiva o i parametri

di

poesia concreta alterano inevitabilmente la

forma della pittura, le caratteristiche della

musica e

il

contenuto della poesia. Nuove

possibilità estendono il raggio di espressione

di quegli individui creativi che si identificano

con pittori, registi, compositori e poeti. Con

l'avvento dei

computers

è successo ad esem–

pio che l'ingegnere per il quale una proget–

tazione grafica realizzata da un calcolatore

non rappresentava altro che un mezzo per

risolvere certi problemi visualmente, in via

del tutto accidentale si è trovato a confronto

con le illimitate possibilità della produzione

visuale e ha cominciato, progettazioni a par–

te, a fare disegni « inutili

»,

giustificati solo

dal desiderio di esplodere, di sperimentare

percezioni inconsuete.

Ctu

È

DUNQUE

il

computer,

e come è

successo che si sia adattato a prestazioni ar–

tistiche?

Anzitutto, qualche dato anagrafico.

Com–

puters

e

robots

sono tra noi da lunghissimo

tempo. I primi calcolatori furono gli abba–

chi usati migliaia di anni fa. Il primo

robot

(nel mito) fu il Golem, gigante di argilla

plasmato a Praga nel XVI secolo dal rabbino

Lev Ben Bezalel.

Ma si

deve arrivare ad

anni molto più recenti per imbattersi in

«

umanoidi

»

in grado di fornire prestazioni

inventive. A una conferenza sui

computers

organizzata nel 1966 dall'università di Wa–

terloo, gli scienziati interessati al problema

si sono trovati d'accordo nel riconoscere che

il

computer

accresce il grado estetico di una

possibile opera dell'invenzione e può operare

in una certa misura tendenzialmente creativa.

Ma, ci si potrebbe chiedere, a che scopo?

Forse che i linguaggi dell'arte non bastano

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(come già bastarono) a realizzare quei pro–

getti di libertà, di bellezza, di godimento che

sono necessari alla dimensione estetica del–

l'uomo moderno? E sarebbero poi questi

mobiles,

questi «umanoidi» elettronici, in

grado di liberare la sua ansia coinvolgendolo

in una sfida di abilità con le proprie opera–

zioni-memoria?

Evidentemente la « sfida » riguarda un

progetto più ambizioso: convertire le attese

dell'arte in attese di vita, progettare nuove

forme di intervento creativo sulle cose, in

grado di tramutare ogni occasione

di

espe–

rienza in una felice scoperta.

È,

beninteso,

un'utopia, che però si sta già facendo strada

in un settore della ricerca che a tutta prima

sarebbe sembrato

il

più indifferente a obbiet–

tivi del genere. Nella fase iniziale delle sue

sperimentazioni,

la

cibernetica ha lavorato

sul cervello dell'uomo, inventariando le sue

zone, analizzando

il

suo funzionamento, ri–

producendo le sue prestazioni e, grado a gra–

do, ne ha costruito un modello. Le distanze

reciproche sono apparse subito palesi. Il

«

sosia » nasceva, rispetto all'uomo, come un

organismo liberato, cioè disponibile a inter–

venti e operazioni affrancate dai bisogni ele–

mentari dell'esistenza, dai drammi provocatÌ

dall'ostilità dell'ambiente e dall'istinto uma–

no di sopraffazione. Governata dal pilota

scientifico, la sua inventività ha potuto cosl

prodursi in una condizione ottimale di neu–

tralità, instaurando con le combinatorie del

probabile un rapporto provocante e

«

alle–

gro »: una gara totale.

Tutto questo corrisponde a un'arte, o al–

meno a una tecnica, dell'intelligenza utiliz–

zata a

fini

estetici, cioè di fruizione sen–

sibile.

Il

«

sosia

»,

inventato dall'uomo, gli

ha reso

il

servizio, invitandolo a vivere espe–

rienze deUo straordinario, del fantastico, del–

l'imprevedibile a cui l'arte

«

artigiana » lo

aveva reso ormai sordo. E,

ciò

facendo, lo

aiuta a rimettere alla prova le sue qualità,

le sue energie cosl spesso soffocate dall'uso

di opportunità che è costretto a farne.

I giochi cibernetici montati a Nash House

sono per ora poco più che delle curiosità

stravaganti, un'occasione per ironizzare sullo

strapotere della macchina o per rimpiangere

la maestria degli artefici antichi, ma la loro

esistenza anticipa una prospettiva di vita per

il soggetto estetico in cui non

è

assurdo im–

maginare raggiunta l'impareggiabile e sublime

serendipity.

[GRAZIA MARCHIANÒ]