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e beninteso vietandoci di far dire ai testi

più

di quel che spontaneamente dicano; benché

sarebbe stato facile sottolineare come l'esame

a cui Sade e Leopardi sottopongono il fe–

nomeno della vita abbia punto di partenza

e procedimento coincidenti fino a un dato

momento

del

discorso, per poi separarsi

quando Leopardi, messo di fronte al pro–

blema della natura matrigna o di Arimane ,

chiama

in

aiuto gli ameni inganni e

i

pos–

senti errori o la fraternità umana, mentre

Sade proprio allora

fa

la sua scoperta più im–

portante, e cioè la necessità del male sia in

quanto assecondamento della volontà della

natura

(mardtre

come in Leopardi, ma in

più

garce

e

grande putain)

sia

in

quanto af–

fermazione della libertà dell'uomo (e qui

è

In

più apparente contraddizione della filoso–

fia sadiana). Leopardi, si sa, ama nutrirsi di

interrogazioni e

in

un certo senso placarcisi;

Sade non

le

ignora, ma le accetta solo a pat–

to di oltrepassarle rispondendo: rifiutando

cioè

il

mistero sia fisico che metafi sico. Par–

la bene anche lui di

«

celte i11explicable 11a–

ture

»; ma, da un punto di vista morale, la

spiega. La natura, insomma, vuole la distru–

zione dell'esistent e onde avere

il

piacere di

ricreare le

«

opere prime». di ricominciare

ogni cosa da principio;

il

suo scopo è la

morte che le procura nuovo materiale per

divertirsi

(

«

La natura crudel, fanciullo in–

vitto »...).

«

Le

mal la divertii donc?

»

escla–

ma Justine; e Bruto minore:

«

Forse i tra–

vagli nostri, e forse il cielo / i casi acerbi

e gl'infelici affetti / giocondo agli ozi suoi

spettacol pose?

».

La natura, Dio ,

il

cielo:

si tratta di una sinonimia .consueta più che

di accusa di correità, sinonimia comune a Sa–

de non meno che a Leopardi: come prova,

fra l'altro, l'inno ad Arimane, del secondo, e

del primo il poemetto

La

Vérité

scoperto e

pubblicato da Lely nel 1961.

La morte , obbiettivo supremo della na–

tura, non è per sé

il

Male, ma è la prova

più spettacolare della volontà

di

male della

natura, e la pietra di paragone dell'uomo:

cosi la morte dell'ateo

è

uno dei luoghi to–

pici di Sade, come del resto di tutta la let–

teratura materialistica del Settecento , e la

morte bellissima fanciulla

è

uno dei luo–

ghi topici di Leopardi. L'« uomo al punto»

incontra la natura invece di Dio , e cerca di

sminuire dignitosamente la propria sconfit–

ta: Morte, dov'è la tua vittoria? I cadaveri

canori di Federico Ruysch, affermando che

Luigi Bàccolo

la morte è« piuttosto piacere che altro», con–

cordano con Juliette, che la morte è

«

une

volupté

»,

in quanto soddisfazione di un

bisogno o istinto posto in noi dalla natura

stessa. E tuttavia, in Leopardi

è

piuttosto lo

scandalo della morte (

«

Come, ahi come, o

natura,

il

cor ti soffre» ... ); in Sade, assai

più conseguentemente, lo scandalo della vita

e della sua continuazione: i delitti dei per–

sonaggi sadiani sono tutti riducibili a uno

scopo unico, distruggere la vita in atto, im–

pedirne la nascita, e in ultima analisi far

rientrar la creatura nel grembo creatore, cioè

percorrere a ritroso

il

cammino della natura

generatrice. La quale resta evidentemente al

centro

di

questa complessità di atteggiamen–

ti, in quanto oggetto di amore-odio da parte

degli uomini. Ammirabile, ma non amabile

fotta.

«

Natura illaudabil meraviglia

»,

re–

sponsabile di questo arcano universo

«

il

qual di lode / colmano i saggi, io d'ammi–

rar son pago

»:

«

Sa marche périodique me

plait sans m'étonner

».

Lo

stupore, i due filosofi lo riservavano

all'uomo, che sia cosl vuoto di ragione da

considerarsi centro dell'universo e oggetto di

sentimenti da parte della matrigna che ]o ha

creato: anche Voltaire dice suppergiù le me–

desime cose, ma

il

tono, che conta ,

è

simile

solo in Sade e Leopardi. Di

Juliette ,

ho in

mente una prosopopea della Natura che ricor–

da abbastanza da vicino i dialoghi

«

Della Na–

tura e

di

un'anima » e

«

Di un Islandese

»;

dice dunque all'uomo, l'immortale

garce:

«

Ti ho scagliato nell'universo come scaglio il

bue l'asino la pulce e

il

carciofo». Con si–

mile spirito, benché addolcito dall'amor di

vita che non lo abbandonò mai, Restif de la

Bretonne diceva che ]a nostra reverenza per

la natura, quasi che lei si curasse della nostra

presenza, è cosl buffa come se vedessimo

i

nostri pidocchi e le nostre pulci cimici ec–

cetera,

«

l'encensoir

à

la main

»,

prosternarsi

di fronte a noi cantando inni e salmi. E Vol–

taire:

«

Il comandante della nave del Re si

preoccupa forse della sorte dei topi nella

stiva?

».

Solo che Sade e Leopardi assumono

]a situazione tragicamente, e cioè poeticamen–

te: come si diceva , con ira e dolore. Il

for–

sennato orgoglio

della

«

Ginestra

»

è quasi

letteralmente

le sot orgueil

dell 'uomo,

«

che

rimarrebbe ben stupito se vedesse, dopo la

distruzione rotale della specie umana, nulla

mutare nella natura, e

il

corso degli astri

neppur ritardato ». Lo gnomo del dialogo