

Morte di una lingua
conto, sono una frana: lo sanno al Co–
mando.
Io
ce la metto tutta , ma comincio
a disperare
».
Poi la donna ebbe un brivido di fred–
do.
«
Vieni, rientriamo
»
disse. E, una
volta che furono di nuovo nella cucina,
si tirò dietro la porta. Ora, con la fioca
luce della lampada, la casa aveva una
dimensione diversa, quasi segreta. Gri–
ge ombre si disegnavano sulle pareti fi.
no al soffitto, e il vento, agitando il
lume, le metteva in movimento. Entraro–
no nell'altra stanza, più grande e più cal–
da. C'era un letto al centro, delle sedie,
le gonne e le bluse di lei appese alle
grucce. Olimpia cominciò a spogliarsi sen–
za guardare il compagno, lentamente , con
sicurezza. Poi sedette sul letto .
Il soldato rimase immobile qualche
istante, poi le andò vicino. Lei lo ac–
carezzò sul collo, gli slacciò la camicia.
Lo
attirò a sé baciandolo sugli orecchi,
sulla nuca.
«
Sei un caro ragazzo -
diceva - e sei bello, mi piaci. Sei vera–
mente simpatico
».
E gli toccava le brac–
cia, i muscoli delle braccia, il torso nudo
e sudato, caldo. Si rannicchiò su di lui, ta–
cendo. Il giovane la stringeva forte, come
in una morsa.
«
Vedi? - fece ancora lei.
- Non li potrai dimenticare, non po–
trai dimenticare la tua ragazza, ma loro
non
ci
sono
più.
E
noi continuiamo: tu
continui.
Capìsc?
»
Rise, e anche lui rise ma senza aver
capito. Fu addosso alla donna con furia,
nel buio; lei rispondeva ai suoi assalti con
gemiti brevi come piccole grida. Infi–
ne, venne il sonno. Un respiro lieve per–
correva ormai i due corpi che giaceva–
no accanto sul letto. A un certo mo–
mento, quando dalla finestra cominciò a
filtrare il primo bagliore dell'alba, l'uo–
mo si svegliò, girò la testa per guardarsi
intorno e provò un senso imprecisabile
di stupore. Si alzò a sedere sul letto, ma
procurando di non far rumore per non
svegliare la ragazza. La guardò con dol–
cezza, ma ora avvertiva dentro, anche
più forte, un sentimento di distacco, di
fine, di nera sconsolatezza. C'era in fondo
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un errore, in tutto questo : nulla era più
vero, nulla più naturale.
Il respiro della donna s'era fatto più
alto e quasi faticoso, l'aria era pesante
nella stanza. Il soldato si alzò, si rivestl,
scostò la porta; andò fuori. Si fermò a
guardare la campagna, gli alberi, i mu–
ri sbrecciati, e s'avviò lungo la strada
che portava fuori del paese. Ora un oriz–
zonte largo, ma ancora gelido dell'umi–
dità della notte , gli s'era fatto davanti, tra
mucchi di rottami, piante sradicate e
nuvole di polvere. Camminava con una
spina dentro: un'amarezza, un dolore,
oppure un vuoto, un vuoto totale, né do–
lore né amarezza. Forse il bisogno di ri–
cordare, o il bisogno di dimenticare. Una
confusione di cose, di suoni che erano
parole per gli altri e di altri suoni che
erano parole soltanto per lui.
A un certo punto, su un dosso sabbio–
so, ci fu un fragore d'inferno . Forse il
soldato aveva inciampato in uno di quei
residuati di guerra che infestavano ancora
la zona. Un boato, un gran bagliore im–
provviso con sfumature viola, e poi un
lungo silenzio. Rompeva il silenzio solo
un frusciare morbido di terriccio e di sas–
si. Anche l'ultimo superstite della pic–
cola comunità attestata sulla montagna e
distrutta dalla guerra era scomparso. Ai
primi accorsi non fu possibile rimettere
insieme, del suo corpo, che qualche
mi–
sera scheggia di ossa, insieme con bran–
delli bruciacchiati dei calzoni e della ca–
micia.
Con lui, col militare indecifrabile, mo–
riva anche una lingua della quale egli
era stato l'ultimo testimone e portatore.
Si chiudeva per sempre una storia, e
insieme con essa un messaggio, uno stru–
mento d'intelligenza e forse di saggezza,
che rimaneva per sempre sigillato e se–
greto. Con la morte del soldato e della
sua lingua non nasceva neanche una lin–
gua morta, perché quella piccola collet–
tività arroccata sullo sperone del monte
non aveva avuto una letteratura.
SERGIO SURCHI