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Mario Pinzauti

Turista a Praga

I

A NOITE

tra il 20 e il 21 agosto avevo ap–

, pena lasciato la Cecoslovacchia . La notizia

dell'invasione mi raggiunse inattesa la mat–

tina del 21, in un piccolo caffè

di

Linz, con

i titoli di un giornale abbandonato su un

tavolo . Ricordo di averla letta e riletta e di

aver poi cercato smentite (ma purtroppo non

vennero;

ci

furono, anzi, continue e sempre

più gravi conferme) da altri giornali e dalla

radio , nel corso di una giornata che

è

stata

tra le più penose e sconvolgenti della mia

esistenza.

Anche oggi, due mesi dopo , mentre l'opi–

nione pubblica, distratta dall'inizio dei cam–

pionati di calcio, dalle Olimpiadi e dai nuovi

successi della musica leggera, si avvia tran–

quillamente a mettere in archivio

il

dram :

ma de.Ila Cecoslovacchia, dopo aver già di–

menticato quello del Biafra (che pure dura

ancora), mentre

ci

sono, perfino nel mondo

politico democratico, uomini che si chiedono

se non ci si sia resi colpevoli di giudizi e con–

danne affrettati verso l'Unio ne Sovietica, men–

tre parecchi scrittori, artisti e intellettuali

ritirerebbero, se potessero, le firme poste

sotto

i

manifesti di protesta di agosto, sca–

vando dentro di

me,

tentando di analizzare

le mie reazioni alle notizie dell'invasione,

scopro di nuovo la meraviglia;

di

più, un

senso di incredulità, una sorta di incapacità

a tro vare una spiegazione.

Si tratta di reazioni che, per me, dovreb–

bero essere umilianti.

Mi

occupo di politica

e, in particolare, dei problemi del socialismo

e del comunismo.

A

proposito del comuni–

smo non sono tra coloro che hanno creduto

(e credono anche oggi, nonostante la Ceco–

slovacchia) nella prospettiva di una sua pro–

digiosa evoluzione democratica , anche se ho

sempre cercato di registrare con attenzione,

con tutto l'interesse che meritavano, i fatti

nuovi che all'Est si verificavano, cogliendo–

ne - quando c'erano - gli aspetti posi–

tivi . Eppure non mi vergogno del mio stu–

pore; e di ammettere di non aver pensato,

prima del 21 agosto, neanche nei giorni

«

caldi

»

che precedettero il vertice di Bra–

tislava, alla possibilità ' di un'invasione della

Cecoslovacchia.

Forse le mie impre ssioni (poi rivelatesi

eccessivamente ottimistiche) nacquero dalla

mia breve esperienza di Praga , dal susse–

guirsi di scoperte e di riflessioni cui mi tro–

vai davanti quasi sempre involontariamente,

dato che, provato da un anno di lavoro, ero

andato in Cecoslovacchia col fermo propo–

sito di fare soltanto il rurista, di evitare

qualsiasi incontro o occasione che potessero

tradursi in tentazione al lavoro.

IL

PROPOSITO

era ingenuo, me ne rendo

conto; e il luogo scelto per attuarlo tra i

meno adat ti del mondo. Tuttavia cercai di

difenderlo con energia. Non entrai in una

sede politica, non tenta i di incontrarmi con

scrittori o artisti ed evitai con ]a massima

cura i pochi giornalisti italiani che erano

rimasti a Pra ga dopo il vertice di Bratislava.

Allorché ne incontrai uno per caso, in un

ristorante, non potei fare a meno di scam–

biare qualche parola con lui: ma per sentir–

mi dire quello che anch'io pensavo, che la

situazione era tranquilla , stabilizzata, che

grosse novità non erano da attendersi nel

processo di liberalizzazione ma che erano

anche da escludere involuzioni o, peggio, at–

tacchi dall'esterno. Erano giudizi che mi met–

tevano in regola con la mia coscienza, che

mi offrivano un'altra giustificazione per evi–

tare l'inchiesta, il lavoro.