

Morte di una
lingw,
dere decisioni. Bisognava far sl che il sol–
dato so)itario, quella specie di pez,zo
umano da museo, si reintegrasse nel siste–
ma, riacquistasse a poco a poco lo stru–
mento - un linguaggio appunto - per
comprendere gli altri ed essere capito.
Si ritenne che al tirocinio avrebbe potuto
essere proficuo un dialogo continuato , o
un tentativo di dialogo, con un commi–
litone ben disposto e abbastanza prepara–
to alla bisogna. Più che lo studente di fi.
losofia e di scienze umane, parve adatto
un modesto maestro elementare, che pro•
babilmente avrebbe potuto applicare sul
superstite-unico i moderni metodi didat–
tici per reinserirlo nel contesto.
«
Il me–
todo globale - disse il colonnello che
aveva la moglie ispettrice scolastica -
potrebbe giovargli anche per avvicinarsi
a una lingua diversa, alla nostra scrit–
tura».
L'esperimento col soldato insegnante ri–
sultò, però, disastroso. Difficile una ri–
cerca di colloquio tra chi è come sigil–
lato in una lingua e in una scrittura mi–
steriosa e chi - come appunto il solda–
to maestro - è intorpidito e quasi istu•
pidito dalla paura. Il maestro era addet•
to, infatti , alla ricerca e al disinnesco dei
congegni esplosivi rimasti disseminati in
tutta la zona; e la tensione, lo sgomen–
to, quella specie di incessante confronto
con la morte l'avevano profondamente
fiaccato e snervato . Il tenente, al quale
si era rivolto per cercar di essere adibito
ad altro servizio, gli aveva detto secco:
«
Lavativo!
».
E cosl, indotto nelle ore
di riposo a cercar di portare a una nuova
comunicazione il giovane estraneo, altro
non poteva riferirgli che i gesti del rac–
capriccio e le espressioni dello sconforto.
Stanchissimo, infine, il militare insegnan–
te cadeva sulla branda russando, e
il
su–
perstite-unico rimaneva col suo segreto
dentro , intatto, immobile a guardare l'uo–
mo che russava, mentre una lampadina
fioca e lontanissima recava sui muri la
più squallida ombra della luce.
L'unica cosa che l'estraneo capisse era
quel russare, quella
lingua
universale che,
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in fondo, assomigliava assai alla sua.
Aveva intuito che
il
Comando voleva rie–
ducarlo, fare con lui come si fa, pressap–
poco, con gli analfabeti di ritorno. Ma
delle lezioni del maestro addetto alle mi–
ne non aveva afferrato nulla, o quasi nul–
la. Il commilitone usciva spesso, dopo
lente e rarefatte parole, in esplosioni
vocali, veri e propri scoppi accompagnati
dal gesto largo delle braccia e dal ter–
rore degli occhi, che volevano rappresen–
tare probabilmente delle deflagrazioni.
Poi seguiva un urlo , il silenzio;
il
sonno.
V
e s
TI
gli scarsi risultati del presunto
apprendistato , gli ufficiali del Co–
mando, dopo aver deplorato
il
militare
maestro dandogli dello sfaticato e pezza
da piedi, si erano di nuovo riuniti per
deliberare. Una proposta la fece
il
te–
nente, le gambe sempre allungate a scat–
to. Forse un lavoro di rieducazione e di
reintegrazione anche nel senso del lin–
guaggio poteva svolgere, sul soggetto, una
donna. Gli occhi brillarono, al giovane
ufficiale, quando ebbe detto questo. Con
malizia fece roteare una mano, batté sul
tavolo la sigaretta spenta, volse la testa
verso i superiori cercando di avvalora–
re fra l'altro un acume da dongiovanni.
Seguì una pausa di riflessione. Con suf–
ficienza, il generale disse alla fine che
l'esperimento poteva essere tentato.
«
Ma
dov'è la donna?
»
saltò su il capitano.
«
Qui non ci sono che maschi!
»
rincarò
il
colonnello. La difficoltà
fu
presto su–
perata . Frequentava
il
Comando Olim–
pia, una ragazza che lavava la bianche–
ria: e a lei si poteva dare - se accetta–
va - l'incarico.
Era, Olimpia , una bruna giovane don–
na che, oltre a lavare i panni , poteva
molto simpatizzare con quei militari del
battaglione che le andassero a genio: mai
ufficiali, quasi mai graduati. Ascoltata
la proposta, non disse di no, anche per–
ché l'umile diaria che le avevano offerta
le faceva comodo. Poi l'esperienza -
disse con un mezzo sorriso - in fondo
la incuriosiva. Però per prendere l'ultima