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decisione la donna chiese
di
vedere pri–
ma il soldato in oggetto. Cosl le condus–
sero davanti il superstite solitario; lo
guardò in faccia, lo squadrò nella perso–
na, infine disse sl. Lui, il ragazzo biondo,
la guardò a sua volta stordito , e ancora
senza capire. Ma, osservata la luce che
s'accennò negli occhi della ragazza, pro–
vò un senso
di
gioia, non ben definibile.
Fu accompagnato alla casa di Olimpia ,
all'ingresso del paese, nel pomeriggio.
La casa era fresca e odorosa
di
basilico;
aperta sulla campagna, era percorsa dal
vento che entrava dalla porta dell'orto
e la frugava tutta. C'erano pochi mobili,
ma solidi, vecchi; il lavatoio era fuori ,
pieno della biancheria del Comando. Ci
fu una specie di rito per la consegna. Il
sergente che cedette il soldato alla ra–
gazza ebbe un sorriso malizioso; i baffet•
ti scuri gli si dilatarono, gli s'abbassaro–
no le palpebre. Poi Olimpia precedette
l'ospite nella cucina, gli fece cenno
di
sedere alla tavola.
«
Dunque non capisci,
non parli
la
nostra lingua? ». Il ragazzo
la guardava con simpatia ma anche con
smarrimento. La donna gli versò un bic–
chiere di vino rosso, e lui lo bevve len–
tamente .
«
Ma che cosa rammenti? -
fece ancora costei. - Non sei uno sme–
morato: rammenti certo qualche cosa».
Il soldato intuiva, anche se non affer–
rava nessuna delle parole. Stranamente ,
la semantica gli era quasi a portata di ma–
no, ora, con quella ragazza, nonostante
che le loro lingue continuassero a essere,
a vicenda, pianeti inesplorati .
«
Come ti
chiami? » fece lei. E, dopo qualche in–
sistenza, il ragazzo capl. Sorrise, poi emi–
se due suoni brevi, come Ne-bn, o Be-bn.
Anche lei sedette , e ci fu un silenzio.
Fu l'ospite, questa volta , a cercar di co–
municare per primo. Bisbigli e singulti,
lunghe consonanti e corte vocali si af–
facciarono alla sua bocca, e Olimpia pen–
deva da quelle labbra nel tentativo, di–
sperato ma volenteroso, di penetrare il sen–
so di quei suoni. Con la testa, con le
mani, spalancando gli occhi quasi con sor–
presa, la giovane lavandaia cercava an-
Sergio Surchi
che di interpretare mimicamente
il
lin–
guaggio dell'estraneo:
«
Il tuo paese...
Giù! Tutto giù! E gli scoppi... Tutti
morti».
Le notizie fondamentali erano le pri–
me ad emergere, le più logicamente de–
cifrabili. Il soldato s'accompagnava del
resto, nel racconto frantumato , con una
sorta di mimesi. Ora muoveva le braccia,
ora si alzava, ora accennava
di
camminare
e di correre. Poi tornava sulla sedia tri–
ste, e guardava la ragazza con fondi oc–
chi, quasi a chiederle una liberazione, a
chiederle conferma
di
essere stato capito,
di
non essere più del tutto solo nello
sgomento. E lei accennava di sl col capo,
gli sedeva davanti rassicurant e anche se,
in realtà, aveva capito ben poco di quel
gorgoglìo.
P
R I
M A
che si facesse buio, Olimpia
apparecchiò la tavola. Mangiarono
pane, formaggio e pomodori , e l'ospite
mostrò di gradire molto la cena. Aveva
appetito, al Comando non avevano po–
tuto dargli che modestissime razioni. Bev–
ve, anche: quel vinello rosso andava giù
con un frizzore ravvivante, che egli igno–
rava ormai da molto tempo. Quando si
alzarono per uscire nell'orto, sentl che le
gambe un poco gli tremavano; ma seppe
reagire con decisione e, rinfrancato , se–
dette accanto a Olimpia sul muretto di
pietra.
«
Avevi una ragazza?... Una ra–
gazza... ». Lui capl, rise. C'era un cielo
ter~o, lucido di luna. La guerra sembrava
non essere arrivata oltre quel muro, fra
quelle piante di geranio e di cavolo. Il
sapone del lavotoio spandeva nell'aria un
odore agro.
«
Era be!la?
Le
volevi bene? ». Il ra–
gazzo ancora capl, e ora
il
suono della
sua voce sembrava farsi più dolce, più
disteso. A un certo momento Olimpia gli
accarezzò un braccio, gli toccò le mani.
Aveva una scorta
di
sigarette datele al
Comando, e fumarono.
«
Vedi, Neb , è
difficile insegnarti la lingua, istruirti: io
non sono una maestra, so appena parlare
e scrivere per me. E, quanto a far
di