

64
le gambe in tutta la loro lunghezza.
«
Di
dove vieni? Che facevi? ». Il soldato
non mutò
il
suo atteggiamento di grande
calma, e ricominciò a parlare . Il suo
ldsico strideva, ora, nella stanza, enig–
matico e tagllente. Un piantone rise;
il
tenente e i militari stavano ad ascol–
tare perplessi.
Le
zete, le esse, le enne
tornavano a sospendersi nell'aria, tra vo–
cali brevi, e mezze vocali, suoni che
sembravano indecisi - tra la a e la o,
tra la i e la e - e dovevano essere in–
vece esatti, e non erano certo privi di
significato.
«
Una lingua sconosciuta »
disse il giovane tenente ritirando con
scatto le gambe.
Intervenne un graduato:
«
Che sia paz–
zo? ». Un altro accennò alla possibilità
di una simulazione. Il soldato cercava
di aiutarsi col gesto, con le mani, per in–
dicare cose, luoghi, tempi: ma restava
egualmente un isolato, e perdippiù sospet–
to. Stanco, tornò a tacere. Fu invitato a
sedere su uno sgabello; gli dettero del-
1'
acqua e una pagnotta . Bevve con gu–
sto, si asciugò le labbra con la mano. Il
tenente tornò alla carica accennando, con
sussiego, approssimative parole di altre
lingue. Sembrava un portiere d'albergo, e
il piantone trattenne a malapena una nuo–
va risata.
Lo
sconosciuto non dette segno di ca–
pire, anzi sembrava sempre più lontano,
ma più annoiato che afflitto. Infine il
tenente , alzatosi, gli andò vicino e affer–
rò con decisione la pagnotta; la portò con
entrambe le mani sotto gli occhi del sol–
dato e, con l'aria trionfale di chi abbia
finalmente scoperto il metodo, esclamò:
«
Pane! ». Tutti i militari tacquero nel–
l'attesa. Lo sconosciuto guardò la pagnot–
ta sollevata come il calice nella messa, e
restò muto.
«
Pane! Pane! - gridò an–
cora il tenente - Tu come lo chiami? Ca–
pisci? Pane ».
L'altro articolò, ora, un lento gorgo–
gllo. Poi più nulla. Un graduato sollevò
in aria una brocca:
«
Brocca » fece. E
ancora intervenne l'ufficiale, afferrando
or qua or là gli oggetti del disadorno
Co-
Sergio Surchi
mando e mostrandoli all'ospite o prigio–
niero:
«
Penna. Libro. Fucile! Vedi? Fu–
cile. Lume. Fiammiferi. Vedi: fiammife–
ri» . Ne accese uno, offrl al soldato una
sigaretta. Questi, tra una boccata e l'al–
tra di fumo, andò pronunciando misterio–
se parole, o suoni indistinti, via via che
gli oggetti gli venivano sottoposti:
«
Grrr ...
Zzz... Bauearrr ... Biin... ». Un dialogo, de–
cisamente, non parve possibile.
«
Porta–
telo dal capitano » disse infine il tenente.
I
L
e
A P I T A N
o sembrò prendere
gusto nell'indagare la provenienza e
la lingua del giovane. Come parlando a
un turista estivo, gli domandava:
«
Tu
capire?
Capìsc?
Acqua, sedia, cielo, te–
lefono... ». Poi si portò al centro della
stanza e cominciò a camminare avanti e
indietro sui mattoni rossi. L'ultimo sole,
passando per la finestra spalancata, dise–
gnava una striscia lucida sulla sua testa
calva. Sillabando, l'ufficiale diceva:
«
Cam–
minare, cam-mi-na-re. Par-la-re. Se-de-re...
e intanto, come un mimo, faceva gesti
esplicativi davanti all'impassibile solda–
to. -
Capìsc?
»
Il soldato ovviamente capiva il signi–
ficato di quell'improvvisata commedia,
e forse nel fondo ci prendeva gusto, an–
che lui.. Ma, se provava a tradurre nel
suo lessico le immagini e i gesti pro–
posti dall'ufficiale-attore, uscivano dalla
sua bocca altri borborigmi sibillini che
lasciavano sbigottiti i presenti. Il gradua–
to incalzò di nuovo:
«
Ma che reciti? ».
E non s'accorse dell'inopportunità della
domanda mentre il vero comico, in quel
momento, era il capitano.
Un militare studente ritardatario in
filosofia buttò nella stanza una definizio–
ne del fenomeno:
«
Non riesce a comuni–
care». E l'espressione parve abbastanza
originale e pertinente.
«
Non comunica
con gli altri :
è
come solo». Al soldato te–
lefonista la definizione richiamò gli in–
gorghi sulle linee, la difficoltà di metter–
si in comunicazione quando i Comandi
hanno tutti fretta e tanti messaggi da tra–
smettersi.