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le gambe in tutta la loro lunghezza.

«

Di

dove vieni? Che facevi? ». Il soldato

non mutò

il

suo atteggiamento di grande

calma, e ricominciò a parlare . Il suo

ldsico strideva, ora, nella stanza, enig–

matico e tagllente. Un piantone rise;

il

tenente e i militari stavano ad ascol–

tare perplessi.

Le

zete, le esse, le enne

tornavano a sospendersi nell'aria, tra vo–

cali brevi, e mezze vocali, suoni che

sembravano indecisi - tra la a e la o,

tra la i e la e - e dovevano essere in–

vece esatti, e non erano certo privi di

significato.

«

Una lingua sconosciuta »

disse il giovane tenente ritirando con

scatto le gambe.

Intervenne un graduato:

«

Che sia paz–

zo? ». Un altro accennò alla possibilità

di una simulazione. Il soldato cercava

di aiutarsi col gesto, con le mani, per in–

dicare cose, luoghi, tempi: ma restava

egualmente un isolato, e perdippiù sospet–

to. Stanco, tornò a tacere. Fu invitato a

sedere su uno sgabello; gli dettero del-

1'

acqua e una pagnotta . Bevve con gu–

sto, si asciugò le labbra con la mano. Il

tenente tornò alla carica accennando, con

sussiego, approssimative parole di altre

lingue. Sembrava un portiere d'albergo, e

il piantone trattenne a malapena una nuo–

va risata.

Lo

sconosciuto non dette segno di ca–

pire, anzi sembrava sempre più lontano,

ma più annoiato che afflitto. Infine il

tenente , alzatosi, gli andò vicino e affer–

rò con decisione la pagnotta; la portò con

entrambe le mani sotto gli occhi del sol–

dato e, con l'aria trionfale di chi abbia

finalmente scoperto il metodo, esclamò:

«

Pane! ». Tutti i militari tacquero nel–

l'attesa. Lo sconosciuto guardò la pagnot–

ta sollevata come il calice nella messa, e

restò muto.

«

Pane! Pane! - gridò an–

cora il tenente - Tu come lo chiami? Ca–

pisci? Pane ».

L'altro articolò, ora, un lento gorgo–

gllo. Poi più nulla. Un graduato sollevò

in aria una brocca:

«

Brocca » fece. E

ancora intervenne l'ufficiale, afferrando

or qua or là gli oggetti del disadorno

Co-

Sergio Surchi

mando e mostrandoli all'ospite o prigio–

niero:

«

Penna. Libro. Fucile! Vedi? Fu–

cile. Lume. Fiammiferi. Vedi: fiammife–

ri» . Ne accese uno, offrl al soldato una

sigaretta. Questi, tra una boccata e l'al–

tra di fumo, andò pronunciando misterio–

se parole, o suoni indistinti, via via che

gli oggetti gli venivano sottoposti:

«

Grrr ...

Zzz... Bauearrr ... Biin... ». Un dialogo, de–

cisamente, non parve possibile.

«

Porta–

telo dal capitano » disse infine il tenente.

I

L

e

A P I T A N

o sembrò prendere

gusto nell'indagare la provenienza e

la lingua del giovane. Come parlando a

un turista estivo, gli domandava:

«

Tu

capire?

Capìsc?

Acqua, sedia, cielo, te–

lefono... ». Poi si portò al centro della

stanza e cominciò a camminare avanti e

indietro sui mattoni rossi. L'ultimo sole,

passando per la finestra spalancata, dise–

gnava una striscia lucida sulla sua testa

calva. Sillabando, l'ufficiale diceva:

«

Cam–

minare, cam-mi-na-re. Par-la-re. Se-de-re...

e intanto, come un mimo, faceva gesti

esplicativi davanti all'impassibile solda–

to. -

Capìsc?

»

Il soldato ovviamente capiva il signi–

ficato di quell'improvvisata commedia,

e forse nel fondo ci prendeva gusto, an–

che lui.. Ma, se provava a tradurre nel

suo lessico le immagini e i gesti pro–

posti dall'ufficiale-attore, uscivano dalla

sua bocca altri borborigmi sibillini che

lasciavano sbigottiti i presenti. Il gradua–

to incalzò di nuovo:

«

Ma che reciti? ».

E non s'accorse dell'inopportunità della

domanda mentre il vero comico, in quel

momento, era il capitano.

Un militare studente ritardatario in

filosofia buttò nella stanza una definizio–

ne del fenomeno:

«

Non riesce a comuni–

care». E l'espressione parve abbastanza

originale e pertinente.

«

Non comunica

con gli altri :

è

come solo». Al soldato te–

lefonista la definizione richiamò gli in–

gorghi sulle linee, la difficoltà di metter–

si in comunicazione quando i Comandi

hanno tutti fretta e tanti messaggi da tra–

smettersi.