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Il

ponte

sua enormità. Eppure non

è

né grande,

né imponente.

Si

è

ascoltato

il

cronista: da entrambe

le parti del parapetto è stata posta un'al–

ta ringhiera

di

ferro. Fitti e aguzzi pali

separano il Ponte dall'abisso: talmente

fitti che non vi si può introdurre neanche

una mano. Dall'alto e dal basso scorgia–

mo adesso l'arco della morte attraverso

una grata: fasciato, inoffensivo .

Dall'alto - sempre di notte - si di–

stende la veduta di una nera strada, ri–

schiarata di tanto in tanto da un debole

bagliore di lanterna, come un pallore lu–

nare di fiori d'acqua malsani.

Le

fine–

stre delle case sono cieche, le bancarelle

denudate . Il selciato, asperso dalla sera,

manda lampi da scaglia sbiadita di pesce

morto. Dal basso agli occhi

di

chi guarda

appare l'immenso deserto del cielo.

Le

stel–

le in esso rilucono come duri grani

di

quarzo. All'altezza del Ponte esso è drap–

peggiato con strisce verticali e oscure.

Non lontano dal Ponte della Sanità

venne costruita una chiesa che porta lo

stesso nome. Essa custodisce nei suoi

sotterranei i teschi dei morti durante la

peste: anonimi e attorniati dalla venera–

zione degli abitanti del quartiere. Su di

essa è visibile questa ormai logora scritta:

«

Aut mori, aut pati

».

In

queste parole

si nasconde l'essenza del Ponte. Due

op–

pure

compiono

il

ruolo di unici provo–

catori. Tra essi giace ed aspetta il Ponte.

V

A

L

e u

N I ANN I

prima si era con–

giunta al Ponte la figura

di

un men–

dicante sino ad allora a tutti sconosciuto.

Venne chiamato « Pipistrell o», ed effet–

tivamente per il suo aspetto meritava un

tale soprannome . Piccolo e magro, le orec–

chie come male attaccate alla testa e una

fitta nera barba di setola, si muoveva

non come un essere vivente, ma come un

giocattolo messo in moto che molle di–

battentisi senza posa tengono staccato da

terra: saltando di gamba in gamba, con

lunghi passi rivolti verso l'esterno, man-

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tenendo l'equilibrio del fragile corpo con

braccia simili (nelle maniche

di

un cap–

potto troppo largo) alle ali di un pipi–

strello.

Anche al suo comportamento doveva il

soprannome di Pipistrello. Trascorreva il

giorno appeso o al parapetto, o alla grata

del Ponte . Appeso con un filo invisibile,

nascondendo la testa nel colletto, al–

zando di rado lo sguardo sui passanti,

proprio come gli uccelli della notte im–

mersi nel letargo diurno. Non mendica–

va con l'insistenza dei suoi compagni na–

poletani: accanto a lui, sul marciapiede,

giaceva un caschetto nel quale venivano

gettate le monete. Il loro risuonare non lo

distoglieva dall'immobilità. Spesso gli ve–

nivano portati, al posto del danaro, rima–

sugli di cibo avvolti nella carta. Bastò po–

co tempo perché diventasse difficile im–

maginarsi

il

nostro Ponte senza di lui.

E tuttavia, per quanto potesse sem–

brare il contrario, non dormiva. I suoi oc–

chi fissavano senza posa la strada sotto il

Ponte. Osservandolo guardare in basso con

tale tenacia, sospettavamo a volte che non

la strada fosse l'oggetto della sua atten–

zione, quantunque in volo scorgesse tut–

te le minuzie della sua vita; non la stra–

da, bensì l'abisso che la separava dal Pon–

te; e persino di più :

il

Ponte riflesso nel–

lo specchio di quell'abisso. Il suo sguardo

si scioglieva e si calmava solo quando invo–

lontariamente - di certo non resistendo

alla continua tensione - riposava un at–

timo sulla cupola della chiesa e, sfiorando

la scritta del fronton e, scivolava di nuovo

con lentezza sul fondo della strada.

VI

A

L

e

A L A R E

della sera si staccava

dal suo posto

di

guardia, tirava fuori

dal berretto le monete da mettere in tasca,

raccoglieva i rifiuti incartati e andava alla

vicina taverna. Camminava dimenandosi,

occupando l'intero marciapiede ed obbli–

gando tutti a lasciargli libero

il

passo,

ubriaco ancor prima

di

saltare la soglia del

suo serale rifugio.