

60
La taverna di
cui
si parla è per il passan–
te frettoloso invisibile dalla strada. Prima
dell'inizio del Ponte, dalla parte del pro–
lungamento di Via Toledo, alcuni scalini
portano in basso a un piccolo giardino, do–
ve sulla pendice, o piuttosto sui margini
del dirupo, venne alzata subito dopo la
guerra una casetta di legno. Dietro i cespu–
gli ed una mesta aiuola di fiori si innalza
un graticolato che quasi continua
il
pa–
rapetto esterno del Ponte . Due rudimen–
tali camerette, con affitti sulle pareti ri–
tratti di stelle del cinema ritagliati dai
giornali e cromolitografie con vedute pa–
noramiche di Napoli, costituiscòno tutto
l'edificio.
In
una si trova un vecchio,
raramente usato tavolo da biliardo. Nella
seconda si beve il vino più a buon mer–
cato, più acre ed acido dei dintorni di Na–
poli, che al bagliore delle deboli lampa–
de assume una tinta di sangue nero e dà
subito alla testa. Qui viene la gente po–
vera del quartiere: soprattutto facchini e
venditori ambulanti di poco conto, che
spendono le ore serali davanti a un litro
di vino e a pezzetti di formaggio, a trip–
pa venduta sulle bancarelle di strada, op–
pure a tortelli col riso fritti nell'olio. Dal–
le botti d'angolo emana un odore di muf–
fa confuso con
il
puzzo della frittura , del–
lo sporco, del sudore e delle orinate tra i
cespugli del giardino. Il clamore delle
grida, delle baruffe e dei canti ubriachi
si accresce senza posa, ma soltanto a mez–
zanotte esplode con rabbiosa violenza.
Le
porte allora si aprono e si richiudono
con fragore, e nello stretto viottolo e sui
gradini si vedono del1e ombre chine,
congiunte per le braccia a due o a tre,
avanzare con cautela, brancolando lungo
la strada come nel quadro di Breughel.
VII
U
se Iv
A
di solito per ultimo, allora
veramente ubriaco. Ci si era sem–
pre stupiti della sua resistenza al vino:
era capace di bere un bicchiere dopo l'al–
tro, sino al fondo della sua tasca di men–
dicante, lentamente e con quella tenacia
Gustavo Herling
con cui era solito osservare per giorni in–
teri le strade dal suo nido sul Ponte. Du–
rante queste ore serali al tavolo parlava
di rado e, se non veniva importunato, mai.
Quello che diceva, era perloppiù un an–
nuire con delle mezze parole, come im–
plorasse di non tormentarlo con uno sfor–
zo a lui superiore. Del resto non lo in–
fastidivano, Io lasciavano di solito in pa–
ce, vedendo in lui col passare degli anni
nulla più che un pezzo del misero am–
mobigliamento della taverna. E lui se ne
stava seduto nel suo angolo, e sui suoi
occhi dilatati si formava a misura del bere
un velo sempre più spesso e oscuro. Pa–
reva aspettare di continuo, pareva soltan–
to aspettare con pazienza, quasi fosse
creato esclusivamente per attendere. For–
se il suo Creatore sapeva che cosa.
L'aria fresca, battendogli contro all'u–
scita, rivelava gli effetti del vino a lungo
ritardati. Era quello il momento in cui
la sua malinconia scompariva senza lascia–
re traccia. Sl, si animava di notte, come
lo stesso Ponte e come l'animale dal quale
aveva preso
il
suo soprannome ! Correva a
zig-zag verso
il
Museo Nazionale, legge–
ro, libero, sorridente, quasi felice, ora
toccando con movimenti scivolati il sel–
ciato della strada, ora volando in alto in
uno sbattere delle braccia impennate. Poi
rallentava
il
passo, stanco e ansimante. Si
apriva davanti a lui l'ampia, spopolata a
quell'ora Via Foria.
Dicevano che vi si affrettasse verso Pog–
gioreale, e che dormisse al cimitero, dove
i più sontuosi sepolcri di famiglia pro–
curano alle volte a chi non ha casa un
tetto sopra la testa.
In
seguito nacque la
leggenda che egli aiutasse i becchini nella
cernita delle salme. La nostra città è an–
che minacciata dall'asfissia della morte:
da quando si è cessato di seppellire i mor–
ti nei sotterranei delle chiese, si svolge
di notte a Poggioreale un febbrile lavoro
di esumazione per verificare quali delle
spoglie meritino ancora un nome ed un
ritaglio della terra tanto preziosa, e quali
siano maturate per l'annientamento de–
finitivo nella fossa comune.