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tenga unite le varie parti tra loro e que–
ste con il tutto ».
Il
libertador
considerava più che mai
necessaria l'unione delle nazioni figlie del–
la Spagna in una comunità o in un im–
pero ispanico, ma senza la Spagna e le
sue ingiustizie. Egli diceva:
«
Divisi sa–
remo più deboli, meno rispettati dai ne–
mici e dai neutrali. L'unione sotto un so–
lo governo supremo costituirà la nostra
forza e ci renderà potenti ». Solo cosl
gli americani avrebbero potuto trattare
con i nuovi imperi che sorgevano all'oriz–
zonte su un piano di eguaglianza. Poi–
ché
«
una volta stretto il patto con il
forte l'obbligo del debole diventa eterno ,
avremo dei tutori in gioventù e dei pa–
droni nella maturità ». Non bisogna,ra
affiancare nazioni forti con nazioni de–
boli; bisognava essere forti per trattare
con i forti. E l'America, l'America di
origine ispanica, possedeva quella forza,
ma avrebbe dovuto rigenerare in un au–
tentico sentimento di giustizia le conce–
zioni politiche e sociali ereditate dalla
Spagna. Il vecchio ideale ispano-cristiano,
que!lo della Spagna migliore, che con
Vives, Vitoria e altri sognava un impero
di uomini eguali e di nazioni anch'esse
eguali, risorgeva negli ideali del
liberta–
dor;
un impero senza la Spagna dei Pizar–
ro e dei Cortés ma.con la Spagna dei gran–
di erasmisti e dei Las Casas.
I
T I M
o
R I
di Bolivar si dimostra–
rono ben presto fondati: all'indipen–
denza segul un periodo di lotte intestine
e di anarchia. Per creare in quella parte
d'America delle nazioni simili all'Inghil–
terra, alla Francia e agli Stati Uniti non
era sufficiente copiarne le Costituzioni
e le istituzioni politiche. Anche nell'im–
provvisazione, nel disordine di quel lun–
go periodo che va dalla seconda metà del–
l'Ottocento agli inizi di questo secolo, i
latino-americani seppero attuare con la
loro eredità ispanica qualcosa che il gran–
de vicino del Nord non aveva saputo an–
cora realizzare:
«
Noi, i poveri, abbiamo
fatto scomparire la schiavitù da tutte le
Riccardo Cam.pa
Repubbliche del Sud - diceva Bilbao -
mentre voi, i felici, i ricchi, non lo avete
fatto; abbiamo integrato e continuiamo a
integrare le razze primitive, che in Perù
rappresentano la quasi totalità della na–
zione, perché le riteniamo nostro sangue
e nostra carne... Noi non guardiamo alla
terra né ai piaceri della terra come al
fine ultimo dell'uomo ;
il
negro, l'indio,
il diseredato, l'infelice,
il
debole trovano
in noi
il
rispetto che si deve al titolo e
alla dignità dell'essere umano. Ecco ciò
che i repubblicani dell'America del Sud
osano porre sulla bilancia accanto all'or–
goglio, alle ricchezze e alla potenza del–
!'
America del Nord».
La realtà! L'ibero-americano doveva
fare i conti con la realtà; ed era parten–
do dalla realtà che egli doveva risolvere
i suoi problemi. La generazione che se–
gul a quella dell'indipendenza si preoccu–
pò, come fece Alberdi, di elaborare una
filosofia americana che risolvesse i pro–
blemi propri dell'America spagnola.
Ri–
voluzioni, anarchia, tirannia e poi di nuo–
vo rivoluzioni sembravano caratterizzare
la vita dell'America latina . Solo il Brasi–
le sfuggl a quella temperie, adottando sen•
za ricorrere alla violenza le stesse istitu–
zioni dell'impero portoghese. Nell'Ame–
rica ispanica, invece, scoppiò una san–
guinosa polemica tra i fautori del mante–
nimento dell'ordine spagnolo senza la
Spagna e coloro che aspiravano a creare
un nuovo ordine , quello che avevà reso
possibile il progresso delle grandi nazio–
ni dell'Europa occidentale e degli Stati
Uniti . Conservatori e liberali, sostenitori
del potere centralizzato e federalisti, si
scontrarono tra loro. E, come conseguen–
za dell'anarchia che regnava ovunque , si
ebbero i regimi dei Rosas in Argentina ,
dei Santa Anna in Messico, dei Portales
in Cile e dei Garda Moreno in Ecuador.
La Spagna, che non aveva saputo man–
tenere l'impero da essa stessa creato, vi–
veva ancora in quelle terre nei suoi eredi.
Ed era proprio tale eredità che impediva
agli ispano-americani ormai indipenden–
ti di raggiungere
il
livello delle nazioni