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go, come anche di quella religione della

Storia

cli

cui egli è in certo modo il sa–

cerdote officiante - le poche gocce di

acqua in più che bastarono a decidere il

destino di Napoleone furon fatte piovere

dalla Provvidenza:

«

La Provvidenza non

ha avuto bisogno che d'un po' di pioggia,

e una nuvola che attraversò il cielo con–

tro stagione

è

bastata per far crollare un

mondo ». La visione mistica della storia

umana come un travaglio collettivo attra–

verso il quale l'umanità si avvicina inde–

finitamente alla realizzazione dei suoi

fini esige infatti l'intervento continuo

cli

un caso provvidenziale e di una provvi–

denza casuale; ovvero, se si vuole, di una

libertà necessitata e di una necessità li–

bera.

Provvidenziale e fortuito insieme è il

corso della storia, secondo il poeta della

Légende des siècles:

un'epopea dettata dal–

la volontà

cli

un Dio che sta - com'è più

logico che a prima vista non sembri -

tra il Dio degli eserciti del Vecchio Te–

stamento e lo Spirito del Mondo della

storiosofia hegeliana. Dunque, la batta–

glia nel suo insieme obbedisce a una ra–

zionalità immancabile, ma questa razio–

nalità è d'altro canto tessuta d'imprevi–

sto: « Una certa quantità di tempesta

interviene sempre, in una battaglia:

Quid

obscurum, quid divinum ...

»

Ma, c'è da chiedersi, non basta questo

quid obscurum

a scompaginare la razio–

nalità, facendo tornare l'evento che il

poeta vuole unico e fatidico allo stato

caotico di una tempesta

cli

incidenti e

d'accidenti, un turbine di fatti preordi–

nati e di casi fortuiti in cui solo Dio e

lo Spirito del Mondo potrebbero , dall'al–

to, discernere il seguito delle cause e

degli effetti?

No, non basta, perché Hugo ammette–

rebbe anche questo, e tuttavia continue–

rebbe ad attribuire sia le vicende alterne

che l'esito finale della battaglia a una

Provvidenza non meno inscrutabile che

certamente presente e operante.

In

questo

suo modo

cli

concepire le cose, Victor

Hugo è molto più storiosofo - ossia

Nico ÙLChi.aromonte

misticamente assorto nella visione di una

storia che rispecchia la volontà divina e

procede secondo un piano provvidenziale

- che non fosse Hegel: per lui, anche

il caso fa parte dei disegni della Provvi–

denza, e anzi li manifesta in modo parti–

colarmente drammatico e sintomatico;

mentre per Hegel il caso non è che un

momento della Ragione operante indebita–

mente astratto dal suo contesto.

C

o s

ì

per esempio, per Hugo, è al tem–

po

stesso un orribile caso e un segno

della volontà divina il disastro subito dal–

la cavalleria di Ney quando i suoi primi

squadroni si trovarono improvvisamente

dinanzi al fossato

cli

Ohain e vi precipita–

rono in massa per esservi calpestati dai

reggimenti lanciati perdutamente all'at–

tacco che sopravvenivano. Non è un caso,

questo: è una «fatalità» che, aggiunta

alle altre, decide delle sorti della gigante–

sca mischia. « Era possibile che Napoleo–

ne vincesse questa battaglia? Noi rispon–

diamo di no. Perché? A causa di Well–

ington? A causa

cli

Bliicher? No. A cau–

sa

cli

Dio

»

esclama a questo punto

il

poeta.

Malgrado il procedere ahamente ora–

torio, questa non è retorica. Victor Hugo

esprime qui in forma altisonante la visio–

ne della storia e la fede nella storia pro–

pria dell'èra post-napoleonica; e l'espri–

me, per chiara intenzione, in un linguag–

gio che vuol essere il più vicino possi–

bile al sentimento popolare: « Quando

si tratta del destino [storico] , questo

misterioso accusato, noi giudichiamo co–

me il popolo, giudice ingenuo

».

Linguag–

gio sacerdotale,

cli

intermediario tra Dio

e il popolo, piuttosto che letterario , quel–

lo

cli

Hugo.

a causa di Dio, non di Wellington o

di Bliicher, che Napoleone non poteva

vincere a Waterloo. Ma è del Dio della

Storia, dello Spirito del Mondo o, più

semplicemente e pianamente, del Dio vit–

torughiano, continuamente occupato a di–

rigere e rimescolare le vicende umane, che

si tratta. Ecco infatti la ragione di Dio,