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vallo. Forse ha realmente ucciso un ne–
mico. Ma quello che di fatto accade at–
torno a lui è lo sfacelo del glorioso eser–
cito napoleonico: « Sembrano montoni in
fuga... ». E alla fuga si aggiunge l'ammu–
tinamento. Alla fine, la sola battaglia, o
piuttosto rissa, che Fabrizio avrà avuto
da sostenere sarà stata quella contro set–
te ussari francesi che si rifiutano di fer–
marsi al ponte dove il soldato meno
soldato, e al tempo stesso più entusiasta,
che sia mai stato creato da fantasia di
romanziere era stato messo di fazione
per impedirne il passaggio ai fuggiaschi.
Q
u
E
s
T A
è
la ,battaglia di Waterloo,
l'evento che mise fine allo stupefa–
cente passaggio di Napoleone Bonaparte
sulla scena della Storia, quale Stendhal' ce
la mostra attraverso gli occhi di Fabrizio
del Dongo nei capitoli secondo, terzo e
quarto della
Chartreuse de Parme.
È
il contrario - il negativo, si vor–
rebbe dire - di una battaglia vista nel
suo insieme e animata, per cosl dire, da
un soffio unico: è una battaglia che non
esiste, che si dissolve con completa na–
turalezza non solo in una moltitudine di
episodi in apparenza incoerenti ma di cui
forse una volontà geniale o una miste–
riosa Provvidenza tirano le fila, ma -
molto più naturalmente e paradossalmen–
te - nel seguito sconnesso degli incon–
tri, degli impulsi e delle impressioni del–
l'eroe . Fabrizio è un adolescente rapito
in un sogno di gloria e di storia che cer–
ca a ogni istante di trasformare in mo–
menti d'epopea gli incidenti uno per uno
non solo prosaici, ma incongrui, se non
addirittura folli nella loro completa man–
canza di nesso, in cui si frantuma la sua
avventura. Sicché, alla fine, Fabrizio si
riconosce vinto: « Capl per la prima vol–
ta che s'era sbagliato in tutto ciò che gli
era accaduto da due mesi in qua» .
Napoleone - l'eroe dei bollettini del–
la Grande Armata di cui si era nutrito
Fabrizio e, prima di lui, Julien Sorel -
non esiste: non esiste l'epopea, e non
esiste neppure la Storia. Esistono i casi
Nicola Chiaromonte
singoli, esistono gli individui, esistono
le più fugaci impressioni dell'animo; ed
esiste anche - e questo
è
molto impor–
tante - l'epopea napoleonica, ma sol–
tanto quale è sognata da un animo gio–
vanile. Fuori di questo, ci sono i
«
fatti»,
ossia la vivacità delle cose e delle per–
sone ammortita e sistemata nella serietà
dell'ordine sociale.
Questo , Stendhal ce lo fa sentire nel
modo più diretto possibile: nell'ingenui–
tà di Fabrizio, che
è
l'ingenuità di Can–
dide, in fondo, e parente, comunque, sia
dell'ingenuità di Tom Jones sia di quella
di Nicola Rostov, nonché del Cherubino
di Mozart. Tale ingenuità, il romanziere
la mette di continuo , e con continua iro–
nia, a confronto con la realtà nuda e cru–
da degli uomini, delle cose e delle circo–
stanze. La grazia del racconto sta nel fatto
che il narratore ci dà i moti dell'animo di
Fabrizio come sogni inconsistenti, illusio–
ni, ingenuità, inganni, e gli incidenti for–
tunosi in cui si spezzetta (ma di cui pure
è fatta) una battaglia, come la so!'a real–
tà incontrovertibile; e tuttavia, d'altro
canto, egli ci conduce irresistibilmente
dalla parte dei sogni, dei rapimenti, del–
le illusioni, e persino del ridicolo, del suo
eroe. Sicché noi non possiamo fare a
meno di considerare questi - le peripe–
zie dell'animo di un adolescente - come
la verità vera. Infatti, è in quegli ingan–
ni, in quelle illusioni e delusioni, in quel–
l'invincibile e risibile candore che sta
il significato della storia raccontata da
Stendhal.
Il resto - la battaglia
di
Waterloo,
l'epopea napoleonica vista da lontano e
raffigurata nel suo insieme come in un
quadro di David o di Gros -
è
realtà
irremovibile, certo; ma, per massic–
cia che sia, del tutto insignificante , se
non menzognera: né vera né falsa, che
è peggio. Il che, peraltro, non rende me–
no ingannevoli gli inganni di Fabrizio.
Ma la verità vera, quella che sola inte–
ressa e incanta il lettore, sono, per cosl
dire, le «arie» cantate dall'animo del
giovane eroe. Giacché è in esse che si