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La bilancia del Cremlino

cordavamo, c'era stata, immediatamente

dopo l'intervento, un'insurrezione contro

il partito , contro la prevaricazione sovie–

tica. Niente di simile in Cecoslovacchia.

Tutt'al più, la paura dei vecchi gottwaldi–

sti e novotnisti più compromessi

di

sentir

suonare l'ora del castigo, timore che Dub–

cek e i suoi hanno fatto di tutto per cal–

mare moltiplicando all'indirizzo delle vit–

time del Terrore - che avevano inco–

minciato finalmente a rivelare tutto - le

esortazioni alla moderazione e al perdono.

C'era dunque da pensare - e noi, a

Bratislava, lo pensavamo - che la lette–

ra-ultimatum

da Varsavia fosse stata det–

tata dal panico, che riflettesse una valuta–

zione affrettata,

«

soggettivistica

»

della

situazione e che la maggioranza del

Prae–

sidium

sovietico, dopo essersi reso conto,

a Cierna, della determinazione dei ceco–

slovacchi, dopo aver esaminato meglio

il

dossier,

avesse modificato il suo giudizio

e accordato a Dubcek e al suo gruppo un

altro po' di tempo per dimostrare la loro

lealtà, la loro efficienza, la loro fedel–

tà agli impegni riaffermati nel testo -

molto ortodosso - della dichiarazione di

Bratislava che essi avevano, secondo ogni

apparenza, firmato senza troppa resi–

stenza.

3) E

POI -

pensavamo ancora - i so–

vietici avevano rinunziato all'intervento

perché, tutto sommato, essi sono cam–

biati dal 1956 a oggi. All'epoca dell'in–

tervento in Ungheria, una maggioranza

«dura», staliniana, era insorta contro

Kruscev e Mikoyan. Ora, tra gli astri che

brillavano nel 1956 al Cremlino, soltan–

to due, Suslov e Kossighin, fanno ancora

parte del

Praesidium.

Suslov viene gene–

ralmente considerato uno stalinista inte–

grale, ma non bisogna dimenticare che,

sette mesi dopo l'intervento in Ungheria,

egli aiutò Kruscev a sbarazzarsi dei suoi

avversari del

«

gruppo antipartito

».

Cit–

tadini cecoslovacchi assai vicini alla dire–

zione del partito

mi

hanno assicurato che,

alla conferenza di Cierna, Suslov mostrò

un comportamento molto moderato e non

9

si associò alle violenze verbali di un Che–

lest o di un Breznev. Ci si era spiegati

la sua moderazione con la preoccupazio–

ne di non compromettere , provocando una

crisi in Cecoslovacchia, le probabilità di

successo della riunione internazionale dei

partiti comunisti, che era stata convocata

per novembre e che egli era incaricato di

organizzare nelle migliori condizioni pos–

sibili. Quanto a Kossighin, lo si conside–

rava generalmente una «colomba», un

liberale tanto nel campo economico che in

politica estera. Nel 1967, al momento del–

la crisi nel Medio Oriente , si ricordava,

Kossighin aveva fatto del suo meglio per

limitare i disastri e più recentemente, du–

rante la sua visita in Cecoslovacchia, nel–

la seconda metà di maggio, i negoziatori

cecoslovacchi non lo avevano trovato in–

sensibile alle loro argomentazioni.

D'altronde, il fatto che tra il mese

di

marzo e l'inizio di agosto la politica so–

vietica nei confronti della Cecoslovacchia

aveva così a lungo oscillato tra la manie–

ra forte e quella conciliativa sembrava di–

mostrare che i governanti del Cremlino

non erano tutti dei

«

falchi

»

ma c'erano

tra loro anche i fautori della moderazio–

ne, del buon senso e della distensione.

Era comunque comprensibile che, alle so–

glie della catastrofe, posti

di

fronte alla

scelta di un'azione militare senza la pre–

ventiva garanzia di un appoggio

«

alla

Kadar

»

o di un accordo con Dubcek che

permettesse loro di salvare la faccia, essi

avessero scelto il

«

male minore

».

4) ANCHE CONSIDERAZIONIdi politica

estera dovevano aver pesato sulla bilan–

cia. Certo, i sondaggi effettuati a Washing–

ton davano ai russi la quasi-certezza che

gli Stati Uniti, nel caso di un intervento

sovietico in Cecoslovacchia, non si sareb–

bero spinti, sulla via dell'indignazione e

delle proteste moralizzanti, più in là di

quanto avessero fatto per l'Ungheria nel

1956. Nella prospettiva americana,

il

de–

stino della Cecoslovacchia non sembra

avere molta più importanza di quanta ne

abbia la sorte del Guatemala per i so-