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8

ché Kruscev e la maggioranza del

Praesi–

dium

sovietico avevano buone ragioni di

credere alle promesse fatte loro a) di

salvaguardare in Polonia l'essenziale del

regime comunista, cioè

il

monopolio del

partito, b) di mantenere

il

Paese in se–

no all'alleanza. Agli occhi degli uomini

del Cremlino del

1956,

Gomulka non

doveva apparire meno sospetto di devia–

zionismo nazionalista e di opportunismo,

né meno sospetto di

«

titismo

»

di quan–

to appaia Dubcek nel 1968, e la situazio–

ne politica della Polonia era ben altri–

menti pericolosa:

il

Paese era in piena

ef–

fervescenza,

i

sentimenti antisovietici,

cioè anticomunisti della maggioranza della

popolazione, prorompevano ad ogni istan–

te e la fiducia accordata a Gomulka rap–

presentava una

chance

assai più incerta di

quella che Dubcek avrebbe offerto dodi–

ci anni più tardi. Tuttavia, constatate que–

ste differenze, resta, tra le due situazio–

ni, un dato comune: un partito che dà

prova di unità e di vitalità, una direzione

che, grazie all'integrità dei suoi membri

e al suo programma di liberalizzazione,

riesce a cristallizzare attorno a sé le aspi–

razioni della nazione.

Certo, anche Imre Nagy era un uomo

di carattere. Gli ungheresi avevano accet–

tato di vedere in lui un comunista

patrio–

ta.

Ma egli non aveva dietro di sé

il

par–

tito comunista, e l'Ungheria era disposta

a seguirlo soltanto nella misura in cui si

fosse dimostrato pronto a far sue le due

rivendicazioni nazionali assolutamente

inaccettabili per i sovietici: la restaura–

zione del sistema pluripartitico e l'uscita

dal patto di Varsavia. Questo era

il

punto

di contrasto tra Nagy e l'apparato del suo

partito , ed egli non poté evitare la scis–

sione che avrebbe giustificato

il

secondo

intervento .

2) LA SECONDA RAGIONE del non-inter–

vento in Cecoslovacchiaconsisteva, secon–

do noi, nel fatto che non c'era un motivo

ragionevole

per intervenire. Certo, non

era da sottovalutare l'inquietudine provo–

cata, a partire dal mese di gennaio, sia nel-

François Fejto

l'URSS che nella Germania orientale e in

Polonia, dalla caduta di Novotny, dalla li–

bertà di tono della stampa e della radio,

dal prorompere dello spirito critico che

richiamava alla memoria i dibattiti con–

testatari del Circolo Petofi di Budapest e

del Circolo Torto di Varsavia: tutti fat–

tori che tanto più atterrivano i reazionari

burocrati partecipanti alla conferenza dei

«

cinque

»

in quanto essi avevano

il

loro

daffare all'interno dei propri Paesi per

mettere il bavaglio ai dissidenti, per repri–

mere l'ondata montante delle richieste di

liberalizzazione. Le velleità manifestate a

J:'.ragadi dare il via ad una politica estera

un po' più autonoma avevano anch'esse

irritato i padroni del Cremlino, abituati

al servilismo di un Novotny, di un Siroky

e di un Lenart. Era comprensibile che si

fosse rimasti scossi al Cremlino di fronte

alla

«

primavera politica

»

cecoslovacca e

che si fosse messo in atto ogni mezzo per

arrestarla, per smorzarne l'impeto . Ma, da

ciò all'intervento militare, restava ancora

un buon tratto da non superare se non

nel caso che venissero minacciati interessi

strategici essenziali, cioè si profilasse il

pericolo effettivo di vedere la Cecoslo–

vacchia sottrarsi al controllo del patto di

Varsavia, disertare il campo socialista e

passare a quello occidentale e alla neutra–

lità. La

lettera-ultimatum

di Varsavia di–

pingeva questo pericolo come reale, ma

nessun serio osservatore avrebbe potuto

credervi, a cominciare dagli osservatori

comunisti italiani, jugoslavi, austriaci ec–

cetera. Occorreva veramente molta imma–

ginazione per scorgere la controrivoluzio–

ne in quella Cecoslovacchia nella quale

il

passaggio dal novotnismo a quel

«

socia–

lismo di sembianze umane

»

che veniva

proposto da Dubcek, Cisar, Smrkovsky,

Cernik e Svoboda, si stava compiendo sl

in un gioioso tumulto per la libertà di pa–

rola e la dignità ritrovate , ma anche molto

«

alla ceca», pacificamente, saggiamente,

con la persuasione e non con la violenza,

senza il minimo disordine nelle strade e

senza

il

minimo pregiudizio per la pro–

duttività delle fabbriche.

In

Ungheria, ri-