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François Fej to

La bilancia del Cremlino

Il dilemma degli invasori

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AL E Mo TI

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l'Unione

Sovietica ha rinunziato all'impiego

della forza per rovesciare Dubcek? Per–

ché i «cinque» - dopo

l'ultimatum

lan–

ciato da Varsavia

il

15 luglio, dopo il

reiterato rifiuto di ritirare, malgrado le

promesse fatte in precedenza, le truppe

sovietiche penetrate in territorio cecoslo–

vacco in giugno col pretesto di manovre

congiunte delle forze armate del patto di

Varsavia - hanno poi finito con l'eva–

cuare

il

Paese e negoziare un compromes–

so all'apparenza onorevole? Fu questo il

tema delle discussioni tenutesi attorno a

un'improvvisata tavola rotonda che ci

riunl - un piccolo gruppo di corrispon–

denti di giornali occidentali insieme con

alcuni scrittori, giornalisti, storici cechi

e slovacchi -

il

3 agosto scorso a Brati–

slava, qualche ora dopo la conferenza dei

« sei », appena conclusasi con la nota di–

chiarazione di solidarietà e fraternità dei

Paesi comunisti.

Strano, sorprendente

happy end,

che

aveva posto fine a tre settimane di ten–

sione, di guerra dei nervi , di

suspense

provocata dal crescendo della campagna

di stampa accompagnato da rumori d'armi

e pressioni di ogni genere.

Il 3 luglio Breznev, in presenza di Ka–

dar, esperto della materia, brandi sce lo

spauracchio di Budapest 1956 e pronun–

cia la frase fatale, immediatamente dive–

nuta

il

Leitmotiv

dell'offensiva giornali-

stica scatenata contro

il

processo di libe–

ralizzazione cecoslovacco: « Noi non per–

metteremo mai che le realizzazioni sto–

riche del socialismo siano messe in peri–

colo... Non lo permetteremo mai... ».

Qualche giorno più tardi Mosca, Berlino–

Est, Budapest, Varsavia e Sofia inviano a

Praga missive allarmistiche:

il

manifesto ,

in realtà pro-governativo, delle « Duemila

parole » di Vaculik è invocato come prova

suprema dell'incapacità del governo di

controllare la situazione. I « cinque » pro–

pongono una riunione d'urgenza a Varsa–

via per « sventare

il

pericolo ». Dubcek,

indubbiamente ricordandosi delle missive

analoghe ricevute da Tito vent'anni pri–

ma, contenenti l'invito a fare un viaggio

di penitenza a Bucarest, declina corte–

semente la proposta, esattamente come

aveva fatto Tito. Propone, di rimando,

riunioni bilaterali destinate a dissipare i

malintesi, poiché, a suo modo di vedere,

non si tratta d'altro. I «cinque», il 14

luglio, si riuniscono senza di lui a Varsa–

via, donde inviano a Praga una lunga let–

tera -

l'ultimatum

di cui parlavamo -

per dire in sostanza ai dirigenti cecoslo–

vacchi (citiamo dal

Monde

del 19 luglio):

« La

controrivoluzione

nel vostro Paese sta

conquistando una posizione dopo l'altra,

il partito perde ogni giorno più il con–

trollo degli avvenimenti ... I popoli dei no–

stri Paesi non ci perdonerebbero mai un

atteggiamento di indifferenza e di negli–

genza di fronte al pericolo che minaccia

gli interessi comuni ed essenziali di tutti