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R I N A S C I T A

359

T« Imperialismo »,

della

a Questione nazionale

*

t

delle

«Que–

stioni del leninismo »,

perchè sino a che si accontenterà

delle idealistiche

e crociane *

Storia d'Italia » e t Storia

d'Europa »,

della realtà attuale non riuscirà proprio a capire

nulla, all'infuori

dell'ingenuo

smarrimento dell'autore n&Ua

sua ricerca del liberalismo che più non c'è.

Scartato il metodo dell'esame

concreto delle opere storiche

c dei giudizi storici dei comunisti, non resta al filosofo idea–

lista altro che affermare -che noi comunisti,

che abbiamo

scritto che « la storia di ogyii società sinora esistita è storia

di lotte di classe » e costruiamo tutta la nostra

concezione

del mondo e della vita sulla coscienza delle contraddizioni e

lotte cui tutta la realtà si riduce, non vogliamo saperne di

lotte, perchè la lotta nascerebbe,

secondo noi,

dall'opera

del male contro il bene, e noi vogliam togliere dal mondo

il male, cioè quella famosa a proprietà privata » che tanto è

vicina al cuore dell'idealista e della quale già ci siamo occu–

pati. Ci rincresce essere costretti a far osservare anche qui

che le cose sono un po' più complicate di come ce le pre–

senta don Benedetto,

Come spiegare, infatti, che proprio

agli autori del

« Manifesto»,

a Marx ed Engels, sìa dovuta

quella

classica

esaltazione

della funzione

rivoluzionaria

avuta nella storia dalla borghesia, espressione della proprietà

privata capitalistica?

Fu tbene*,

fu *male»

t

ciò che la

borghesia ha fatto nel mondo? Se si adoperano questi con–

cetti come li adopera il filosofo idealista, la risposta non pitò

essere data: altri penserà che è bene, altri che è male. La

dottrina del bene c del male ch'egli espone e contrappone a

noi con torio di trionfatore, ci sembra si riduca a una abba–

stanza superficiale

contrapposizione

di stati d'animo : il

male compiuto, il rimorso, il rimorso del rimorso e così via.

Per il giudizio dei fatti sociali, lo schema serve a ben poco.

Nel discutere

attorno al reale-razionale

hegeliano, a ben

altra profondità di pensiero giungeva Federico Engels nel

suo

* Feuerbach ».

« ...la realtà, secondo Hegel, — egli scrive — non i per

niente un attributo che si applichi in tutte le circostanze e

in tutti i tempi a un determinato stato di cose sociale o poli–

tico. Al contrario. La Repubblica

romana era reale; ma

l'Impero

romano che la soppiantò lo era ugualmente.

La

monarchia francese era diventata nel

1789

così irreale, cioè

così priva di ogni necessità, così irrazionale, che dovette

essere distrutta dalla Gratidc rivoluzione,

della quale

Hegel

parla sempre col più grande entusiasmo. In questo

caso

dunque la monarchia era l'irreale, la rivoluzione il reale. E

così nel corso della evoluzione tutto ciò che prima era reale

diventa irreale, perde la propria necessità, il proprio diritto

all'esistenza,

la propria razionalità; al posto del reale che

muore subentra una nuova realtà vitale, — in modo pacifico,

se ciò che è vecchio è abbastanza intelligente da andarsene

senza opporre resistenza alla morte, in modo violento, se si

oppone a questa necessità. E così la tesi dì Hegel si tra–

sforma, secondo la stessa dialettica hegeliana, nel suo con–

trario : tutto ciò che è reale nell'ambito

della storia umana

diventa col tempo irrazionale, è dunque già irrazionale per

proprio destino, è sin dall'inizio

affetto da irrazionalità; e

tutto ciò che vi è di razionale nelle teste degli nomini è de–

stinato a diventare reale, per quanto possa contraddire alla

apparente realtà del giortw. La lesi della razionalità di tutto

il reale si risolve quindi secondo tutte te regole del ragiona–

mento hegeliano nell'altra: — tutto ciò che esìste è degno

di perire ».

E ci pare che basti, per far vedere quanto ci corra tra

il modo come da parte nostra si affrontano questi

problemi

di filosofia e di storia, e il grottesco manicheismo

contro il

quale, avendolo

battezzato

« marxismo

» e «

comunismo »,

mena colpi di lancia il donchisciotte

idealista. Abbiamo noi

un « Eliso, Eden, Paradiso, Regno degli Eletti, o altro con–

simile

( s i c / ) »

di cui attendiamo

l'attuazione?

Non abbia–

mo programmi

messianici

da realizzare,

dissero i nostri

Maestri, bensì vi sono forze che noi rendiamo

consapevoli,

ci sforziamo di dirigere, liberiamo. Il concreto

programma

e la vivente realtà concreta della nuova società che sorge

dal seno stesso e sulle rovine della società capitalistica, non

possono essere altro che creazione storica condizionata da

tutto il corso di una situazione

nazionale e

internazionale.

Criticare il comunismo

vuol dire cimentarsi

nello studio e

nella crìtica di questa realtà nel suo

svilupparsi.

Ma qui, lo abbiamo rilevato all'inizio, non ha luogo la

critica; ha luogo la sola invettiva. Il solo accenno

storico

concreto è allo • slavismo • cui viene ridotto l'odierno mo–

vimento

comunista,

ricollegandolo

alla « minaccia slava »

che graverebbe

sull'Europa

da Napoleone in poi. Se con

le considerazioni sul giudaismo di Carlo Marx eravamo tor–

nati a Hitler, con questa torniamo ad Alfredo

Rosenberg.

I popoli slavi hanno avuto la loro parte nella storia

d'Eu–

ropa ben prima del sec. XIX, per lo meno quando toccò a

loro la difesa delle pianure europee dalle invasioni

mon–

goliche {ma chi lo sa che per lo storico idealista, come per

i manifesti dei fascisti e dei Comitati civici, slavi e mon–

goli

(1)

non siano la stessa cosa?), e nel sec. XIX, poi, sono

dì origine slava alcuni dei movimenti

democratici più ef–

ficaci, come l'illuminismo

e materialismo

russo, il roman–

ticismo polacco, i risvegli nazionali balcanici, ecc. Ma non

insistiamo : siamo arrivati

oramai alla

a

mitologìa

della

luce e della tenebra *. Tutto ciò che è inconsistente

e

spregevole è

t

comunismo ». Tutto ciò che vale e si può

pensare è dalla parte opposta. Lo stile e metodo

dell'in–

vettiva hanno giocato al Croce il Uro di precipitarlo lui,

in piciio, in una bizzarra metafisica

manichea.

L'Occidente,

che è t*antkoniuni$mo

t

è « storico »; l'O–

riente, che è il * comunismo », è « antistorico ». Che vuol

dire questo? che l'Oriente

non esìste? che non vi sono

in questo « Oriente » uomini che vivono e pensano,

lavo–

rano e soffrotw, combattono e creano; che

r

non vi è in

questo «t Oriente » una società, una industria, una lotta

dell'uomo

e contro ìa natura e contro sè stesso, che dà

vita a nuove forme economiche,

associative,

sociali,

cultu–

rali? L'invettiva ha passalo i limiti, è diventata

bestemmia

contro la stessa umanità : metà del genere umano è get–

tata fuori della storia, nel « regno del male », e questo in

nome del liberalismo,

anzi, della libertà.

Già, la libertà! Antonio Gramsci, marxista e comunista,

è attdato alla morie, per essere libero e guidare milioni di

uomini sulla via che deve renderli liberi. Benedetto

Croce

ci ha fatto dei gran ragionamenti, che lo hanno portato, e

lo portano, in ultima analisi, a essere schierato con ì tiranni

che difendono un mondo che tra crisi spaventose va alla

rovina, contro uomini e popoli che operano per costruire un

mondo nuovo. Non ci sembra dubbio, tra i due, quale sia

stato assertore ed eroe della libertà.

RODER I GO DI C A S T I G L I A

(1) E r a

sorto

in

noi il

dubbio, nel presentare

scherzosamente

questa ipotesi, di esagerare. Ma ecco V ultima puntata dell'in–

vettiva ant{comunistica crociana dove il filosofo si domanda sul

serio se, nel caso del « comunismo » e delta rivoluzione russa

non

si trat t i

di * qualche antico.... atteggiamento mentale asia–

tico, o più precisamente mongolico » ecc. Si veda, per credere,

« I l

Mondo », anno I , numero

34.