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358

R I N A S C I T A

nostra misera ambizione!) : in ambi i casi scopre il giuoco

e perde ogni forza di persuasione.

Quando dice che ciò

ch'egli sostiene [che il regime sovietico non ha niente a che

fare col

a

comunismo ») oramai lo « sanno

t u t t i » ,

si espri–

me in modo che il moderno diffusor di panzane deve cercar

dì evitare. Questo universale privo di concretezza del

<t

tutti

sanno », non convìnce più nessuno; è piuttosto la formula

disperata di chi, forse attraverso un residuo di logica buona

fede, ha sentito cader nel vuoto tutto il suo precedente ra–

gionare. Il buon propagandista

anticomunista

dirà

invece,

con molto maggior sussiego ed efficacia, che lo ha detto il

signor Tal dei Tali di cui fabbricherà U nome su due piedi,

e freddamente

presenterà questo signore come il più acuto

conoscitore di queste cose, già vedetta del Cremlino, e riu–

scito con mille stenti a valicare la cortina di ferro per venirci

a illuminare. E così quando, trascinato non certo dalla logica

di un

r

argomentazìone

f

ma forse da invidia e dispetto

acce–

canti, don Benedetto

conclude asserendo che i

comunisti

devono per forza — quali incarnazioni

dell'Anticristo

essere anche tutti brutti in viso, suvvia! egli è al dì là del–

l' incittcabile sia per via d'argomento che per invettiva. Son

più cauti i gesuiti, che amtnettono il diavolo poter anche

essere

bello!

Sarebbe forse quindi caritatevole, almeno sino a che l'au–

tore non siasi meglio impadronito delle norme che reggono

questo nuovo genere letterario che è Vantìcomunistìca

invet–

tiva {vogliam mandarlo un poco alla scuola del Padre Lom–

bardi?), non indugiare con troppa serietà sul contenuto

delle

sue tirate. Ci induce a farlo soltanto la serietà stessa con

cui egli le presenta, e quindi uno scopo modesto di pedago–

gia

elementare.

Già osservava Gramsci nei

Quaderni

che il modo come ì

luminari della filosofia e scienza conformiste,

cioè diven–

tate strumento di propaganda del regime capitalistico,

si

comportano

verso le dottrine marxiste e i fatti del movi–

mento operaio è molto strano. Si riterrebbero costoro diso–

norati, degni d'esser

segnati a dito, messi al bando dal

mondo della cultura e della scienza, se sbagliassero

d'una

sillaba e d'una virgola nel citare dall'opera sconosciuta

e

priva di qualsiasi importanza di un qualsiasi

sconosciuto

babbeo dei secoli passati. Se sì tratta di Carlo Marx, di

Engels,

di Lenin e di StaUn, geni che hanno segnato un

corso nuovo alla storia del mondo e allo sviluppo del pen–

siero, è lecito, senza richiamo ad alcuna fonte, e trascu–

rando qualsiasi documentazione

dì fatto, attribuir loro la

più strampalata delle opinioni e la più assurda delle atti–

vità, le più lontane da ciò ch'essi davvero hanno detto e

fatto. In fondo, questo modo di procedere implica il rico–

noscimento

della superiorità delle nostre dottrine,

che ì

santoni dei conformismo

rivelano così di non essere in

grado di confutare senza averle prima

contraffatte.

Nuova e piena di comicità è la crociana deduzione

filoso–

fica delle più note e volgari ira queste contraffazioni.

La

dimostrata impossibilità, secondo ragione, della « abolizione

della proprietà

potrà interessare

chi si diletti di quel

deteriore hegelianesimo

che arbitrariamente

collega

catego–

rie ideali e fatti e rapporti di vita concreti : a noi non fa nè

caldo nè freddo. Noi parliamo infatti soltanto di trasforma–

zione del modo di appropriazione

degli strumenti di pro–

duzione, del passaggio datl'un modo all'altro, e così via.

Dimostrateci

per

baralipton,

suvvia, che la proprietà capi–

talistica è forma eterna dello spirito umano! Ma che dire

della coscienza dì classe \che diventa « odio di classe », frutto

dell'alleanza

dei sentimenti

della « cupidigia » e

dett'iinvi-

dia » f Neanche i preti non osano più trattare la questione a

questo modo, a meìio che non siano proprio ignoranti del

tutto! E Carlo Marx, la piti realìstica delle menti

politiche,

presentato come colui che « aspettò per più tempo la cata–

strofe rivoluzionaria

della società borghese*;

o come spre–

giatore della filosofia, della scienza, della poesia, egli che

ogni anno si rileggeva Eschilo nell'originale,

e viveva con

Dante, e Shakespeare,

e Balzac, e parti da Democrito

ed

Epicuro per approdare a Hegel, e da Hegel per iniziare la

piii grande delle rivoluzioni nell'indirizzo

del pensiero

uma–

no? Affrettiamoci

a render pubblico in italiano

l'epistolario

monumentale di questo grande, acciocché ogni onesto

lettore

di libri possa con noi farsi una risata quando gli accada dì

imbattersi

nelle crociane invettive.

E le crisi cicliche del

capitalismo, che secondo la filosofia idealìstica dal

1848

non

si ripeterono pìù

f

e tanto vale attribuirne la causa alle mac–

chie del sole ?

Vale la pena di precisare,

confutare,

rettificare?

Forse

valeva la pena sotto il fascismo,

quando non è vero, come

scrive il Croce, che il movimento

comunista « già

languisse

dappertutto », ma è vero soltanto che nella maggior

parie

dei paesi dello a storico e liberale*

Occidente

{che allora

1

arrivava, s'intende,

sino alla frontiera sovietica) i comunisti

erano

fisicamente

perseguitati,

fatti tacere, soppressi,

a

m

e

zzo di esìlio, galera, supplìzi, e i nostri libri erano bru–

ciati in piazza, il che rendeva molto più facile, a chiunque

tenesse cattedra di liberalismo e anticomunismo,

falsificare

impunemente

il nostro pensiero e i fatti. In attesa che la

S. Inquisizione

occupi il posto lasciato vuoto dai fascisti e

ne adempia le finizioni, sì consiglia anche ai filosofi ideali–

stici la prudenza nel

falsificare.

Ma non è forse per nostalgico omaggio al contributo

reale

dato da nazismo e fascismo all'efficacia

dell'antimarxistica

sua propaganda che Benedetto

Croce colloca al centro del–

l'ultimo suo scritto sulla storiografia comunistica

la vera–

mente strabiliante e inconfutabile

affermazione che la dot–

trina di Carlo Marx fu a questo dettata da « tradizioni e

abiti giudaici » ? Per un filosofo dell'idea, questo ricorso, in

ultima istanza, al razzismo hitleriano, è poco meno che una

dichiarazione di fallimento.

« Tradizioni e abiti giudaici » è

in verità difficile trovare in Carlo Marx, la cui famiglia si

era persino fatta cristiana molto prima ch'egli

venisse al

mondo; ma se si sopprime

questo argomento

razzista, ci

sembra rimanga ben poco di consistente

nel contorto

atto

di accusa crociano contro la storiografia

comunìstica.

Esistono

infatti opere storiche scrìtte da comunisti,

anzi,

scritte dai fondatori stessi del nostro movimento,

e dai loro

più grandi continuatori. Non comprendiamo

davvero perchè

il giudizio sulla storiografia comunìstica non debba partire

dall'esame e giudizio di questi scrìtti. Pieno di troppi

rischi,

forse, sente Benedetto Croce che potrebbe essere questo esa–

me per tutta la sua costruzione e per lui stesso come autore

di storie. Risulterebbe

da esso, prima di tutto, che gli

scrìtti di Marx ed Engels sui rivolgimenti

politici

europei

dal

'48

al

'51,

per esempio, non sono stati eguagliati da

nessuno, sia per la profondità e sicurezza dei giudizi e l'am–

piezza del quadro tracciato, sia per il prestigio

dello

stile

storico, che giustamente

collega il concatenarsi

delle situa–

zioni oggettive con la lotta consapevole

delle forze

umane

collettive e individuali.

Risulterebbe

poi, tra l'altro, che a

chi voglia capire qualcosa del mondo moderno,

delle sue

interne contraddizioni,

delle sue tragiche

crisi di distru–

zione del vecchio e creazione del nuovo, è da raccomandare

soprattutto la lettura e lo studio di Lenin e di Stalin, del-