

selvagge della «bestia umana». «In fondo a tutti guai ingranaggi si vede sempre la molla
finale, lo strumento efficace, voglio dire il gendarme armato contro il selvaggio, il brigan-
te ed il pazzo che ciascuno di noi racchiude, addormentati o incatenati, ma sempre vivi,
nella caverna del proprio cuore» (Taine,
L'ancien régime,
trad. it. Boringhieri Torino,
1961, pp. 342-47). Lombroso è influenzato da queste posizioni: da qui l'impurezza dello
spaziooccupato dalla giustizia nell'evoluzione storica, non più riflesso, come nei presup-
posti della «scuola classica», di un ordine, bensì strumento per imporlo come equilibrio
sia pure instabile e dinamico («io ho potuto dimostrare nel mio
Uomo delinquente
che
moltissime delle pene contro i delitti, non erano a loro volta, che nuovi delitti...» —
La
funzione sociale del delitto,
Palermo 1896, p. 18). Frutto di questo equilibrio è la norma,
ogni volta feticizzata e fermata, ma non ci sono certezze, solo paure. I l fondamento psi-
co-biologico è la categoria del misoneismo. I l misoneismo, primo strumento che garanti-
sce la permanenza della vita e della forma, si riscontra ad ogni grado dell'essere, con un
rozzo psicologismo elevato a visione metafisica del mondo. Al genio, al degenerato sono
affidati gli elementi di rottura e di movimento. La semplicistica spiegazione biologica è
propria dell'epoca: l'atrofia di certi organi e le tare fisiologiche di cui la mancanza di sen-
somorale è espressione, fanno sviluppare eccezionalmente altri organi ed altre capacità.
«Perciò io ho potuto dimostrare che l'uomo naturalmente, eternamente conservatore, non
sarebbe progredito mai senza i l combinarsi di circostanze straordinarie che mettevanlo
nellanecessità di superare il dolore della novazione per confortare altri più grandi dolori,
edella comparsa di alcuni uomini singolari, come i pazzi di genio e i mattoidi, che per la
anomala organizzazione avendo un esagerato altruismo e un'attività cerebrale superiore di
lunga mano a quella dei contemporanei, precorrono gli eventi, trascinano alle novazioni,
senzapensare al proprio danno, il pubblico che se ne vendica non di rado col sangue, e
fanno come gli insetti che col volare da un fiore all'altro trasportano un polline, cui oc-
correrebbe molto tempo e molti turbini per riescire fecondo»
(L'uomo delinquente,
Tori-
no 1889, vol. I , p. 67). Non ci sembra quindi che in tal caso sia presente nel criminologo
«l'ossessione della diversità» (cfr. A. Pirella,
Prefazione
a
L'uomo di genio,
Roma 1971,
p. XVI ) e addirittura «la paura» (Giacanelli, cit. p. 27) verso il genio, questa fragile e
estrema produzione della natura, inserito nel quadro di una patologia divenuta visione del
mondo, c'è piuttosto la stupita, nascosta, quasi estetica ammirazione piccolo borghese per
il diverso che garantisce con la sua eccezionalità il normale, quotidiano andare delle cose.
Si deve leggere piuttosto un certo disprezzo per «il vero uomo normale»: «non è nemme-
no colto, non è nemmeno erudito, esso non fa che lavorare e mangiare —
fruges consu-
mere natus». (L'uomo di genio,
cit. p. 7). Certo neppure Lombroso può sentirlo come un
modello. Non bisogna dimenticare le ascendenze romantiche di questo discorso sul genio,
in particolare di Schopenhauer che larga diffusione conosce nel clima culturale del positi-
vismo. «Prima di tutto dei geni, anche deboli, saranno sempre più preziosi dei talenti me-
diocri; ed è peccato il perderne un solo»
(Pazzi
e
anomali,
Città di Castello 1890, p. 296).
Ci sono quindi elementi di artistocratismo naturale in Lombroso garantiti dal «darwini-
smo». Vedendo nell'Internazionale, nel movimento di classe una causa dell'incremento del
delitto in Italia, difende il darwinismo e il positivismo dall'accusa di essere la causa del
nascere e del diffondersi delle idee rivoluzionarie: «Il Darwinianismo, prendendo lemosse
dalla selezione della specie, dal trionfo della bellezza e specialmente della forza, dimostra
essere impossibile, nella natura, la completa uguaglianza e naturale e necessaria, quindi,
l'aristocrazia; che se negli animali inferiori la è costituita solo dall'energia muscolare o
dalla ricchezza di connettivo, nell'uomo lo sarà invece dalla forza intellettuale e dal carat-
tere»
(Sull'incremento del delitto in Italia,
Torino 1879, p. 9) (Per la teoria del genio in
Lombroso cfr. anche quanto dice C. A. Madrignani, in
Cultura narrativa
e
teatro nell'età
del positivismo,
Laterza 1975, p. 38 e sgg.).
Singolari ma significative le lamentele del Lombroso intorno agli anni '90 (divenuto
professore di clinica psichiatrica a Torino) riferite dalla figlia Gina, cioè che «i tempi si
erano fatti mediocri e banali e mediocri e banali si eran fatti anche i pazzi» di contro alla
«sconfinata imaginazione» degli «strani alienati» e «fecondi pazzi» «che così avevano ec-
citata la sua mente a Pesaro e a Pavia» venti anni prima. «Cretini, dementi, epilettici, al-
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