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grandi problemi attraverso le maglie dell'ideologia «scientifista», garantita dalla supe-

riore neutralità del «tecnico». E presente in Lombroso il mito, diffuso dopo la Comune,

di una politica «sperimentale» di cui lo scienziato si fa depositario, una sorta di ingegne-

ria sociale lontana dalle astrazioni e passioni del giacobinismo (basti pensare ai

Dialoghi

filosofici

di Renan col sogno inquieto di una aristocrazia dei «savants» che dominano sal-

damente col terrore una società naturalisticamente gerarchizzata, ed alle posizioni di Tai-

ne). In nome dei fatti «positivi» e del rifiuto a brutalizzarli e violentarli come facevano i

rivoluzionari (malati dell'ideale) di Taine (e, ripetendo la stessa follia, i comunardi), si

vuol costruire un ordine che tenga conto, come si è visto, dell'ineliminabile fondo di vio-

lenza nella «bestia umana». La democrazia, i l parlamento, sono oggetto di attacco da

parte di Lombroso, che si muove sulle orme della contemporanea cultura reazionaria

francese. Non è in nome di una reale «rappresentatività popolare» di contro all'accentra-

mento (p. 13) come sembra credere Giacanelli, che Lombroso critica la «superstizione par-

lamentare», ma seguendo la logica del «Senatores boni viri, senatus mala bestia» (cfr. I l

momento attuale,

p. 19). Non dimentichiamo che Lombroso fu, se non il padre, come

pretendeva la sua scuola, certo uno dei padri della psicologia delle folle e che Scipio Si-

ghele era uno dei suoi allievi più fedeli e stimati. Lombroso afferma, citando le sue fonti

francesi, che il parlamentarismo è «la più grande delle superstizioni moderne», che il suf-

fragio universale è un pericolo in quanto «corrisponde al dominio del numero sul merito,

della quantità sulla qualità...». «È il benessere, non il dominio dei più che bisogna cerca-

re, e il primo escludenecessariamente il secondo, come la salute e la ricchezza di un bam-

bino vanno in ragione inversa della sua piena libertà, della sua onnipotenza... L'aristocra-

zia della scienza...è la sola chepossa rendere la borghesia superiore al proletariato». I l va-

lore del voto dovrebbe essere quindi proporzionato al merito e tale che controbilanciasse

l'influsso del numero. In armonia con il quadro si auspica infine l'istituzione di «ministeri

affatto tecnici, e sottratti ad ogni influenza di partito...»

(Il delitto politico

e

le rivoluzio-

ni,

cit. p. 511-523). Lombroso tornerà a più riprese sulla «follia» dellemasse, basti ricor-

dare, per tutte, la grossolanità con cui diffonde e completa le teorie del Taine nello scritto

(conferenza)

La delinquenza nella rivoluzione francese

(Milano 1897). La tesi storiografica

viene annunciata con invidiabile imperturbabilità: «Quella che si suole chiamare Rivolu-

zione dell'89, non fu che una grande rivolta e un grande delitto politico che servì ad au-

mentare una triste serie di comuni delitti...» (p. 3).

Per quanto riguarda il «decentramento amministrativo» (Giacanelli, cit. p. 13), l'ade-

sione della scuola positiva a questa tematica agitata dai gruppi più progressisti, non è cer-

to priva di ambiguità. Non si può far discendere tale posizione, come apologeticamente è

stato fatto, unicamente dalla tradizione dei Cattaneo e della parte più avanzata del risor-

gimento; infatti l'adesione al decentramento è guidata spesso da convinzioni razzistiche: la

«scienza» aveva insegnato l'inferiorità biologica e la pericolosità di certe popolazioni e ciò

dettava la misura prudenziale di non accomunare emescolare troppo le razze superiori del

nord con le inferiori del sud e delle isole. Queste le posizioni del Sergi, dell'Orano, che

vengonoenergicamente sostenute dai sedicenti socialisti Ferri e Niceforo. Certo la posizio-

nedel Lombroso appare in molti casi più sfumata (cfr. per esempio lo scritto

In Calabria)

per il desiderio che la scienza si ponesse come reale sostegno e non dissolvente della rag-

giunta e fragile unità. In altri scritti però le convinzioni razzistiche emergono chiaramente

anche su questo punto: «E questa politica del distacco e dell'autonomia conviene, talora,

anche in una stessa nazione, quando, per le condizioni di razza, vi sia una disuguaglianza

enorme. Allora una legge uniforme, come un vestito uguale applicato a membri disuguali,

produce dolore e danno e quel continuomalessere che si esplica colla rivoluzione...»

( I I

delitto politico e le rivoluzioni, cit. p. 502)

Per il problema dell'educazione (cfr. Giacanelli, pp. 13-14), centrale negli interessi

delle classi dirigenti dell'Italia unita, a nostro parere bisogna distinguere il discorso di

Lombroso dalle posizioni più aperte presenti nell'ambito del positivismo. L'educazione,

agendosolo sullo strato avventizio del carattere e quindi incapace di operare modifiche in

profondità, non è certo tin fattore di rigenerazione o, tanto meno, di coscienza critica, ma

di quietistico adattamento al proprio stato («normale»). Per questo si dà una certa impor-

tanza in Lombroso, come in Sergi, all'educazione delle classi chemeno sembrano concilia-

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