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la questione preliminare della produttività di valore in generale, e si sia fatto

«prendere la mano», per ragioni polemiche, dalla sua definizione generale. La

spiegazionenon è molto plausibile, sia per la centralità, nel pensiero di Marx, del

problema della «produzione di valore», sia per il significativo accenno, alla fine

dell'analisi, ai costi puri di circolazione, sia, più in generale, per la collocazione

storica dei passi rilevanti nell'itinerario scientificomarxiano. La seconda è che la

«riservamentale» circa il problema della produzione di valore fosse in realtà pre-

sente, ma non venisse esplicitata per non confondere i piani di analisi: e allora le

affermazioni sulla cantante, sui maestri, sulle prostitute sarebbero forzature pole-

miche per ribadire il

suo

criterio principale di definizione proprio usandocasi che

la tradizione avrebbe relegatosenzadiscutere nel lavoro improduttivo (ma avendo

però in mente che, in una valutazione d'insieme, si sarebbero dovuti escludere

perché non... produttivi di valore). La terza, che è la spiegazioneche richiede mi-

nori torsioni ai testi, è che

veramente

Marx ritenesse produttiva la prostituta e

improduttivo il contabile.

Sesi ponemente al tessutocomplessivo dell'analisi, l'interpretazione ha una

sua logica. Nella distinzione tra produzione di valore in generale e produzione ap-

parente (falsi costi), ché è quella sulla cui base si esclude il contabile, non è affat-

to contenuta una critica

ideologica

ai valori d'uso che sono caratteristici della so-

cietà capitalistica e che non sarebbero più prodotti in una società diversamente

organizzata. A differenza di Smith (e l'impostazione smithiana è poi stata con-

dotta alle sueestremeconseguenze da Baran), per Marx è chiaramente produttivo

il lavoro di chi produce leccornie per i Landlords, o yachts ... o altri generi di

consumo voluttuario, praticando i quali si sottraggono fondi all'accumulazione;

consumi, poi, che non ci sarebbero in una societàdiversamente organizzata. Se è

prodotto in modo capitalistico, non si vede allora perché debbaessereescluso il

servizio di una cantante o di una prostituta. La distinzione di Marx non riguarda

la natura dei valori d'uso, ma il modo di produrre i valori d'uso che una società

concretamenteproduce.

E allora si vede che nel capitalismo i valori d'uso sono

prodotti con

fata frais

che non ci sono nella produzione in generale: questi

fata

frais

devonoesseredetratti. I valori d'uso, i valori, sono quelli chesono: questa è

la ricchezza prodotta. Un lavoro di sorveglianza, una spesa di circolazione... non

costituisce un valore d'uso, ma un carico addizionale, che va detratto. Fino a

prova contraria, per quanto sia specifico di una certa società storica, il servizio di

unacantante o di un maestro... è un valore d'uso e non un falso costo.

La cosa si puòmettere in altro modo. Immaginiamo di avere una matrice dei

metodi di produzione effettivamente usati da una concreta formazione sociale ca-

pitalistica per produrre un certo vettore di valori d'uso finali. Come Marx riba-

disce in modo inequivocabile, la categoria di produttivo-improduttivo non ha al-

cuna relazione circa la natura di questi valori d'uso: possonoesserebeni o servizi

del genere più futile, e egualmente il lavoro che li produce è lavoro produttivo se

impiegato da un capitalista. Passiamo alla matrice delle tecniche o, in modo me-

nogergale, ai

modi di produrre.

Qui le cosesonodiverse, perché è in gioco una

cosache a Marx sta

scientificamente

a cuore, e cioè la

grandezza di valore.

Già

sappiamoche, nel calcolarla, Marx non accetta supinamente le grandezze che so-

noespresse dai modi effettivi di produrre: se una merce viene

di fatto

prodotta

con un ammontare «eccessivo» di lavoro, non socialmentenecessario, nella gran-

dezza, di valore essa entra

solo

per l'ammontare che è socialmentenecessario. Lo

stessoavviene se i modi di produrre appaiono distorti da impieghi di lavoro che

nonsononecessari in generale per produrre il vettore d a t o — dei valori d'uso

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