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La questione è abbastanza nota. Nella buona sostanza, per il modo di pro-

duzione capitalistico Marx dà una definizione che discende in modo immediato

dai caratteri fondamentali della formazione storico-sociale cui fa riferimento: è

produttivo il lavoro che produce... pluslavoro, e quindi plusvalore. Dunque è la-

voro acquistato dal. capitale, è capitale variabile, ed è inserito nel processo di va-

lorizzazionemediante il quale il capitalista si appropria del plusvalore. Questa è

la definizione dominante nel

Capitale,

e che Marx estesamente dibatte nelle

Teo-

rie sul plusvalore,

in un confronto serrato con Smith anzitutto, e poi con nume-

rosi altri economisti minori.

Il manoscritto delle

Teorie

dedicato al problema chiude però già annuncian-

do il tema dei costi di circolazione. E proprio in relazione al lavoro impegnato

nei processi di circolazione che sonoesclusivi del capitalismo, e al lavoro impe-

gnato in altri processi che sono ugualmente propri di questo specificomodo di

organizzare la produzione, e non della «produzione in generale» (per esempio, i

processi di supervisione non tecnicamente giustificati), Marx introduce una im-

portante restrizione alla sua definizione di lavoro produttivo nel capitalismo, ba-

satasu criteri del tutto diversi da quelli che avevano ispirato la prima. Più che di

una restrizione in sensostretto (giacché in nessunmodo la definizione viene intac-

cata logicamente), si tratta di una condizione preliminare: non possono produrre

plusvalore quelle attività che non producono valore, anche se il modo di produ-

zione capitalistico non fa alcuna distinzione tra di esse, che sono entrambe svolte

mediante lavoratori salariati ed entrambe generano profitto.

Vediamomeglio. Nel V capitolo del primo libro del

Capitale,

nell'analisi del

processo lavorativo, compare una prima, generalissima definizione di lavoro pro-

duttivo: considerando il processo produttivo dal punto di vista del suo specifico

risultato (il valore d'uso), i l lavoro si presenta come lavoro produttivo (può

sembrare una definizione banale; ma vedremo in seguito che non lo è affatto:

esistono— nel capitalismo — attività lavorative non finalizzate in modonecessa-

rio alla produzione dei

veri

valori d'uso). Più oltre, dopo aver descritto le tra-

sformazioni nell'organizzazione del lavoro all'interno delle fabbriche, Marx torna

sul concetto di lavoro produttivo, per allargarlo fenomenologicamente, e per re-

stringerlo teoricamente. I l carattere cooperativo dei processi di produzione fa sì

che«per lavorare produttivamente non è più necessario por mano personalmente

al lavoro, è sufficiente essereorgano del lavoratore complessivo e compiere una

qualsiasi delle sue funzioni subordinate» (3). Ma il carattere cooperativo dei pro-

cessi produttivi, anche sedestinato a permanere, è di fatto un portato del capita-

lismo. E nel capitalismo il processo lavorativo non puòesserevisto soltanto come

un rapporto tra uomo e natura, ma nella specifica forma storica cheessoassume.

Comedice Marx esplicitamente, il «concetto di lavoro produttivo si restringe» (e

questaè una vera restrizione): non basta produrre in genere, ma occorre produrre

plusvalore. Ma poiché il concetto capitalistico di lavoro produttivo è una restri-

zione del primo concetto, derivato dall'esame del processo lavorativo e qualifica-

to per la forma cooperativa cheassumenella sua evoluzione storica, essone deve

mantenere tutti i caratteri: cioè di essere lavoro necessario al processo lavorativo

checonduce alla formazione di valori d'uso. E per Marx esistono, nel capitali-

smo, molte attività lavorative che non posseggono questi caratteri, e soltanto

«provengono dalla forma economica del prodotto in quantomerce» (4).

(3)

11Capitale,

vol. I , trad. D. Cantimori, Ed. Riuniti, V edizione, p. 556.

(4)

I l Capitale,

vol. I I , trad. R. Panzieri, Ed. Riuniti, V ed., p. 348.

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