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A questo punto vengono spontanee tre domande. Per quale motivo Marx ri-

teneva così importante «ritrovare» (nel senso forte che abbiamo più volte sottoli-

neato) le strutture fondamentali del produrre in generale all'interno delle forme

specifiche che esse assumono nel modo capitalistico di produzione? E poi. Una

volta che si è accertato che questo programma non funziona (perché entra in

contrasto con alcuni caratteri fondamentali che una teoria scientifica deve posse-

dere), quali ne sono le conseguenze indirette? In che modo il guasto nella teoria

del valore compromette il significato scientifico di altre parti del

Capitale,

talora

formulate proprio in termini di teoria dél valore? Infine, e riflettendo più in ge-

nerale sulla natura dell'indagine scientifica, se dovessimo ammettere che in Marx

esiste una componente rilevante di filosofia della storia, e che tale componente è

profondamente intrecciata con quelle di scienziato e ricercatore, quali sarebbero

leconseguenze di questa ammissione in una valutazione complessiva del lascito

marxiano?

Non è per nulla facile, per unò scienziato sociale contemporaneo, capire

perché Marx ci tenesse tanto a ricondurre le forme della produzione capitalistica

ad un'essenza sottostante, al modo di produrre in generale. Per alcuni e impor-

tanti aspetti, la critica al modo capitalistico di produzione viene rafforzata, più

che indebolita, quando si accerti che in nessun modo i prezzi possono essere ri-

condotti in modo significativo al «costo sociale reale», ai contributi di lavoro, e

soltanto esprimono la legge dell'uniformità del saggio del profitto. Aumenta in-

fatti la distanza rispetto a un modo «naturale» di organizzare la divisione del la-

voro; e si può mostrare che i feticci deformano anche più profondamente le rela-

zioni sottostanti tra gli uomini. Se poi ci riferiamo alla «visione» complessiva di

Marx, di una crisi necessaria del capitalismo e di un movimento verso un modo

diverso di organizzare la divisione del lavoro, di un modo consapevole e non feti-

cistico, quale

vantaggio scientifico

deriverebbe dal fatto che alcune caratteristiche

della produzione di merci (e in particolare il saggio del profitto) sono spiegabili

mediante tratti permanenti e nascosti della produzione in generale? Se ciò fosse

vero, si rafforzerebbe

scientificamente

la conclusione che le forme capitalistiche

sono transeunti e destinate storicamente ad annullarsi, confluendo in un diverso

modo di organizzare la produzione, in cui quei tratti nascosti divengano evidenti

eacquisiti dalla consapevolezza dei produttori, e così scompaia il feticismo del

capitale?

A questa domanda non mi sembra sia possibile rispondere positivamente. Le

forze reali che conducono alla eventuale crisi del capitalismo (del modo di orga-

nizzare la produzione e lo scambio mediante il mercato e mediante la riduzione a

merci del lavoro e dei valori d'uso) non sono legate alla teoria del valore: potreb-

berosussistere e operare se questa non regge (come non regge, almeno nel senso

forte di Marx); e potrebbero benissimo dimostrarsi assenti o insufficienti anche se

fossepossibile derivare in modo forte il saggio capitalistico del profitto dal siste-

ma dei valori. Come Lippi accenna in poche ma equilibrate pagine conclusive, le

tesi marxiane sul movimento del capitalismo in larga misura si reggono (o non si

reggono) su gambe empiriche: e cioè sull'osservazione di tendenze, di disfunzioni,

di crisi che di fatto affliggono l'economia capitalistica. Osservazione guidata da

una convinzione profonda di non-funzionalità del sistema. Come vedremo ap-

presso, era ed è del tutto legittimo nutrire questa convinzione, e fondare su di es-

saun programma di ricerca scientifica. Ma tutto ciò non ha molto a che fare con

la tegria del valore.

Da dove viene allora l'insistenza di Marx?