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Lavoro produttivo, lavoro improduttivo e costi puri di circolazione

Vorremmo ora valutare le singole indicazioni interpretative con cui Lippi ar-

gomenta la sua tesi: si tratta di indicazioni molto ricche, e in buona parte su

luoghi dell'analisi marxiana non visitati di sovente da teorici capaci di una visione

d'insieme. È per questo che, dovendo scegliere, non insisterei ora sul tema con-

suetodella «trasformazione», anche seessooccupa ovviamente un grande spazio

nell'analisi di Lippi, ed è trattato con notevole chiarezza ed equilibrio. Mi limite-

rei invece ad analizzare con un certo dettaglio il modo in cui Lippi scava nell'a-

nalisi marxiana dei costi puri di circolazione, e ne deriva argomenti a conforto

della sua tesi. Ripeto: si tratta di un esempio che ci è imposto dai limiti di un

brevesaggio. Sulla rendita fondiaria e mineraria (1), sul lavoro socialmente ne-

cessario e sulla compresenza di tecnologie, di diversa efficacia nella stessa indu-

stria, sull'operare della concorrenza, c'è una lettura critica altrettanto approfon-

dita e illuminante, e altrettanto efficace per la tesi generale che si intendesostene-

re.

Il problema dei costi di circolazione ben di rado ha trovato attenzione tra gli

studiosi della teoria del valore marxiana. Questi, naturalmente, erano indaffarati

nell'ostacolo più grosso, il problema della trasformazione, provocato dalla pere-

quazione dei saggi del profittò in presenza di diverse composizioni organiche dei

capitali nelle singole industrie. Ma anche l'esclusione dei costi puri di circolazione

dalle fonti di valore non è difficoltà da poco, e tra l'altro conduce a problemi di

«medie» e «redistribuzioni di valore» del tutto analoghe a quelle della trasforma-

zione. I l fatto è abbastanza curioso; forse si assumevache si trattasse di un feno-

meno di scarsa rilevanza quantitativa (rispetto ai costi di produzione); o forse

nonsi prendevano troppo sul serio le affermazioni di Marx, nonostante cheesse

sianoben chiare, ampiamente sviluppate e corredate da esempi numerici. Se di

questi motivi si trattava, e non sovederne altri, entrambi sono infondati: le affer-

mazioni e le analisi di Marx sono da prendere sul serio nellostessomodo di tutte

le altre che compongono il secondo e il terzo volume del

Capitale

e

le Teorie sul

Plusvalore;

e i costi puri di circolazione, anche se di essi si vuol dare una defini-

zionemolto restrittiva, non sono una cosa insignificante rispetto ai costi di pro-

duzione, oggi in particolar modo.

Se i teorici del valore (e in generale gli studiosi che si pongono in una pro-

spettiva d'insieme rispetto alla struttura teorica del

Capitale)

sono stati latitanti

sul problema, questo è stato invecespessovisitato da un'altra razza di studiosi,

gli specialisti o i dilettanti in tema di lavoro produttivo e improduttivo. Qui da

ultimo, poi, le visite si sono fatte molto frequenti, specie quelle dei dilettanti: il

problema del lavoro produttivo e improduttivo è diventato di moda, dato che

ognimarxistase lo trova tra i piedi (o meglio, crede di trovarselo) quando discute

di classi sociali (2).

(1) Vorrei solo segnalare una chiarissima frase di Marx che, inserita in alcune faticose pagine sulla rendita fondia-

ria, mi era sempre sfuggita. Nell'analisi della rendita differenziale, Marx fa l'esempio di una produzione com-

plessiva di 10

quarter

che sono venduti a 600 scellini, perché il prezzo di ciascun

quarter

è determinato sulle ter-

re peggiori. Ma «il prezzo reale di produzione» è di soli 240 sh., perché questa è la media dei prezzi di produ-

zione sui diversi terreni. I l valore di mercato che si afferma sulla base della concorrenza è «un valore sociale

falso»: K. Marx,

I l Capitale, vol. 111°,

Ed. Riuniti, V edizione, 1968, pp. 762-763 (Cfr. Lippi, pp. 33-34). Lip-

pi non ha certo il brutto vezzo di basare i suoi argomenti su citazioni isolate: questa l'ho voluta trascrivere io

perché mi sembra molto bella: i l valore stabilito dalla concorrenza è «un valore sociale falso»; ma i calcoli

complessivi vanno fatti, e così si trova il saggio del profitto, conteggiando il

valore vero

(quello... della «pro-

duzione in generale»).

(2) Basta vedere i numerosi riferimenti ad esso nella discussione su «Rinascita» che ha fatto seguito alla pubblica-

zione del

Saggio sulle classi sociali

di Paolo Sylos Labini. Sul problema in generale si può vedere l'equilibrata

rassegna di Jan Gough,

Productive and unproductive labour,

«New Left Review», n. 76. Da non leggere la

confusa tesi di laurea di A. Berthoud, Travail productif et productivité du travail chez Marx, Maspero, 1974.