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dalla critica nominalistica delleessenzemedioevali, dalla vanificazione empiristica

degli universali teologici a

flatus vocis,

mera posizione del soggetto. Ogni concet-

to trasforma il suo valore di posizione a partire dalla dinamica storica della socie-

tà. I l significato complessivo della scienza borghese, prima emancipativo e poi

distruttivo, accompagna la parabola del capitalismo, prima eversivo

dell'ancien

régime,

poi reazionario verso la nuovaclasseoperaia. Nella misura in cui lo spiri-

to individualistico della cultura borgheseemancipava gli uomini dagli antichi po-

teri — mentre i nuovi stati nazionali si sostituivano alla chiesa e all'impero — la

scienzapost-rinascimentale andò costituendosi nella sua oggettività. Ma nella mi-

sura in cui tale spirito, dopo aver sradicato l'uomo dalle antiche e sacre gerar-

chie, lo lasciava cadere in balia di un nuovo «universale», affermantesi dietro la

mano invisibile del mercato e della produzione capitalistica, la scienzamoderna

diventava pianificatrice lucida di distruzione. Se da un lato la crisi delle essenze

metafisichemedioevali testimonia dell'incremento d'oggettività realizzato dalla

scienzagalileiana, dall'altro lato gli effetti, o il significato storico complessivo,

cheper la consapevolezza e la felicità umane tale scienza veniva a produrre, costi-

tuiscono il suomomento dialettico e universalmente politico.

La critica nominalistica alle essenzeuniversali del medioevo fu dunque real-

menteemancipativa, in quanto trasformò i l rapporto dei soggetti con i l loro

mondo (e con se stessi) da affermativo, statico, contemplativo in un rapporto

produttivo, storico, mediato da nuove forme di ricambio organico (9). L'astrazio-

neconcettuale, il pensiero non poggiarono più — immediatamente — sull'intui-

zionemistica, o sulla tradizione ecclesiastica come fonte di legittimità dei poteri

politici. Essi giunseroprogressivamente a fondarsi sulla costruzione ipotetica di

processi naturali, collocati a un livello di

non

accessibilità empirica (qualità pri-

marie, leggi dinamiche, legalità interna della

res extensa).

Tali processi, qualità e

legalità non erano immediatamente visibili o deducibili dall'empiria. Al contrario,

essiriuscivano a spiegare i fenomeni visibili solo in quanto rappresentavano, co-

meprincipio teorico-astratto, i l primo frutto di un'immaginazione produttiva

che, con la critica del nominalismo, si era liberata dall'evidenza degli schemi me-

tafisici. L'oggettività scientificamoderna, in altre parole, nasceva dalla superiori-

tà della nuovamediazione soggettiva, rispetto ai dati di una natura e di una tra-

dizione non più considerate sacre. La mediazione teorica non avveniva più nella

forma passiva, magica o tradizionale dell'intuizione, dell'allegoria, del simboli-

smo, bensì nella forma produttiva di una costruzione teorica, di una astrazione

concettuale del tutto disgiunta dai fenomeni visibili. Il significato storico della co-

siddetta rivoluzione copernicana sta, proprio nel fatto che, in essa, l'ipotesi del

movimentoeliocentrico dei pianeti fu costruita nella più radicale e audace

astra-

zione

dal loro movimento apparente. Così, la storia della scienzamoderna non è

interpretabile con gli schemi dell'empirismo e del pragmatismo volgari. In un li-

bro importante di teoria della scienza, Peter Bulthaup ha recentemente dimostra-

toche le teorie di Keplero, Galilei e Newton non sono deducibili né dalla vecchia

metafisica, né dalla fisica di allora. Tanto meno sono interpretabili come il risul-

tato di una fecondità sperimentale, che solo

attraverso

e

dopo

di esse fu resa sto-

ricamentepossibile (10). Così il modello copernicano rese possibile la scoperta

delle leggi di Keplero, e queste furono il presupposto allo sviluppo dellameccani-

canewtoniana. Dunque solo a posteriori lo sviluppo della tecnologiadischiuse la

possibilità di giustificare operativamente i suoi presupposti teorici.

(9) Sulla disputa degli universali e sul nominalismomedioevale cfr. K. H. Haag,

Kritik der neuren Ontologie,

Stutt-

gart 1960, pp. 10-38.

(10) P. Bulthaup, Zur gesellschaftlichén Funktion der naturwissenschaften, Frankfurt/M. 1973, p 33.

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