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fatti, con grande ritardo storico, alcuni aspetti della rivoluzione industriale. Il so-

cialismosembrava raggiungere le isbe più lontane della steppa, e spezzare tenebre

secolari, alla luce nuova, e stupefacente, delle lampadine elettriche. Oggi quella

fede è irrecuperabile: né si può ascoltareBeethoven, leggereGoethe o commemo-

rare Lenin senza provare un certo senso d'afflizione. La riproduzione allargata

del capitale sembra intaccare la sostanzastessa dell'umanità, generando non solo

distruzionemateriale e spirituale, ma soprattutto la coscienza (esplosiva perché

frustrata) di bisogni soggettivi che nonpossonovenire soddisfatti. I l rapporto tra

intelletto scientifico e ragione sociale si è definitivamente spezzato (rispetto ai se-

coli dell'ascesa borghese), e non sarà automaticamente ristabilito né da un

sur-

plus

di sviluppo scientifico (più calcolatori nella fabbriche, più sociologia nei mi-

nisteri), né da un

surplus

di rivoluzionarismo verbale (esaltazione della spontanei-

tà, rifiuto del lavoro). Più difficile sarà riflettere sulla possibilità d'organizzare

nuovi livelli di coscienza rivoluzionaria, a partire da un'analisi immanente della

tecnologia e della scienza contemporanea. Quest'analisi dovrà in ogni caso tra-

scendere l'epistemologia analitica di tipo empiristico, se vorrà svincolare l'oggetti-

vazione scientifica dal principio dell'autovalorizzazione capitalistica. Solo così la

prestazione scientifica potrà superare il livello positivistico della sua autocom-

prensione formale — per Popper: un sistema di autoconfutazione —, cogliendosi

nuovamente riferita alla totalità, momento dell'autocostituzione materiale di un

mondoumano. È un

desideratum

che trova l'apprarente appoggio di gran parte

dell'irrazionalismomoderno. Persino Nietzsche affermava: «Ciò che caratterizza

il nostro secolo non è la vittori!, della

scienza, ma

la vittoria del

metodo scientifi-

co

sulla scienza» (8).

L'élan vita!

di Bergson, la

Lebenswelt

di Husserl e l'esisten-

za autentica di Heidegger rispondono tutti allemedesime intenzioni e allemedesi-

mediffidenze verso la scienza. Ma se ha ragione di protestare contro l'alienazio-

nescientifica, l'irrazionalismo borghese ha poi torto nel credere di potersi salvare

con un salto mortale, con un corto-circuito soggettivistico. Dalla

ratio

scientifica

nonsi escecon le ebbrezze ditirambiche del superuomo, né con il terrorismo alla

Baader-Meinhof. La dialettica uomo-società non è nodo recidibile come quello

gordiano. Lo spiritominacciato tenterà — sempre invano — di incapsularsi negli

interstizi della società in crisi, nella sfera umbratile di un consumosociale che ha

giàperso lo smalto dell'opulenza. Per questo la teoria critica della società, impo-

stata da Marx, devemostrarsi in grado di dialettizzare

dall'interno

i settori sepa-

rati e reificati della specializzazione scientifica, ricollegandone pazientemente i fili

ai nuovi bisogni emergenti della società. La beffarda realizzazione dell'uomo co-

me«ente universale» realizzata dal capitale (invece che dall'autodeterminazione

delle forze produttive) rende infatti improponibile ogni soluzione neo-ellenistica,

oneo-epicurea, di redenzione privata. Montaigne, da questo punto di vista, è ve-

ramentemorto per sempre.

Il dilemma tra oggettività e non neutralità della scienza, che sta al centro del-

ladiscussionecontemporanea, trova soluzione nel concettomarxiano dell'oggetti-

vità come oggettivazione, posizione del soggetto, mediazione della prassi. Co-

struendo, tramite il lavoro e l'accumulazione del valore, l'unità scientifica del suo

mondo — e costruendola attraverso l'unità progressiva di una storia che «si fa»

universale —, l'uomo da un lato prendecoscienza della sua alienazione, dall'altro

realizza sé come assoluto attraverso la storia (8 bis). La scienzamoderna nasce

(8)

t a volontà di potenz«,

aforisma 466, ora in

Werke IV,

a cura di K. Schlechta, Ullstein Buch, 1972, p. 814.

(8 bis) L'unità della storia universale è un

farsi

del lavoro sociale e non un

darsi

dell'orizzonte ontologico, come

credono i discepoli di Heidegger (cfr. G. Vattimo, I l soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della libe-

razione,

Milano 1974).

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