

progredire nel la marcia d i avvicinamento al la tematica politica liberal-
democratica; la giusta insistenza di Boffa sulla organicità della esperienza sovieti-
ca e sulla necessità di una nuova definizione delle categorie fondanti l'analisi po-
litica che ne consegue risultano imbarazzanti. Ma Boffa dimentica che il modello
sociale da lui delineato presuppone il superamento dell'antagonismo tipico della
società borghese nella struttura di classe e nella organizzazione del potere, la
riappropriazione da parte del soggetto di ciò che nella società borghese è alienato
ecc. Solo in presenza di tali precondizioni si può discutere se il «finalismo» insito
in tale modello istituzionale è superiore ai sistemi politici delle società capitalisti-
cheoccidentali. Ma, astratto da tale connessione, il suo modello risulta soltanto
una pura esercitazione di formalismo giuridico-istituzionale e a noi non resta che
trarre la conclusione, malinconica e di senso comune, che il modello di sovranità
proposto dalle esperienze socialiste ha prodotto, almeno, una conseguenza certa:
la assenza delle libertà politiche di tipo occidentale.
Il problema è, comunque, ben più complesso di quello di una contrapposi-
zione delle teoriche liberali e socialiste. È quello, invece, di renderci conto di qua-
li mutazioni ed involuzioni la categoria della libertà viene a subire nelle società
tardo-capitalistiche di cui i partiti del movimento operaio, anche i partiti comu-
nisti, sono una componente organica. E qui il richiamo storico di Boffa appare
pertinente poiché la curvatura,
organicistica
e
solidaristica,
che il concetto di li-
bertà viene ad assumerenasce proprio dal riconoscimento della fatalità del carat-
tere centralizzato ed autoritario delle scelte economiche fondamentali. Per quanto
molti, come Vacca ad esempio, si ostinino ad attribuire a romantici nostalgici
l'affermazione del declino della libertà nelle società di massa, è vero invece che il
riconoscimento della fatale obsolescenza della concezione classica della libertà sta
al fondo delle analisi politiche dei teorici comunisti i quali definiscono come li-
bertarismo esasperato il richiamo ad un rapporto tra individuo e organizzazione
politica in cui la seconda è funzione del primo.
Ma, per scendere a considerazioni più concrete, quale è la dimensione della
libertà in una prospettiva rivoluzionaria? E, dato per scontato che la società mo-
derna è irreversibilmente una società di massa, e dato quindi per scontato anche
che l'operatività delle categorie classiche del pensiero politico va rapportata a
questa situazione, quali sono le articolazioni concrete della autonomia del singolo
nella prospettiva di una ricomposizione delle basi antagonistiche della società?
Perché in una società di massa la libertà politica non si pone in termini di
contrapposizione pura tra potere politico ed individuo isolato, è evidente che l'a-
nalisi si sposta sulle forme di mediazione che si interpongono all'interno del dua-
lismo tipico della elaborazione liberale. E qui conviene fermarsi su due punti im-
portanti, sui quali anche la riflessione dei comunisti si è soffermata. Anzitutto il
pluralismo.
Si afferma che in una società capitalistica avanzata è impossibile concepire il
processo di transizione verso forme di organizzazione sociale tendenzialmente so-
cialiste come direzione od egemonia di una sola forza politica; esso deve essere
piuttosto il risultato della aggregazione di forze rappresentative di un arco di inte-
ressi (e di organizzazioni politiche) più vasto; non solo quindi il movimento ope-
raio e le sue organizzazioni storiche ma anche contributi di altre tradizioni poli-
tiche. La organizzazione sociale che ne verrà a risultare sarà qualcosa di originale
rispetto a tutte le altre esperienze storiche di superamento della società capitalisti-
ca,'appunto in considerazione del carattere non univoco delle sue forze trainanti;
ed inoltre tale modello di sviluppo realizza condizioni di aderenza alla specifica
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