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Siamo convinti invece che Kuhn possaessere utilizzato in una direzione op-

posta, andando ad analizzare i paradigmi come espressione al livello dell'ideolo-

gia degli scienziati dello scontro di classe in atto nella società. I l paradigma non

sarebbe più allora qualche nucleo metafisico, che si coagula all'interno della co-

munità degli scienziati, ma un elemento ben reale e analizzabile all'interno di un

benpreciso stadio dello sviluppo sociale complessivo. Quindi pienamente conosci-

bile — vorremmo dire polemicamente «razionale» — e controllabile almeno da

quelli che — nonostante tutto — concepiscono ancora come prioritaria su tutte le

altre la contraddizione tra i rapporti sociali di produzione e lo sviluppo delle for-

ze produttive. Questo naturalmente non significa identificare meccanicamente la

costellazione scienza con l'economia politica, ma cercarne la coerenza reciproca

edeventualmente l'attrito. Solo in una società totalmente integrata e senza con-

traddizioni sarebbe possibile ricavare in modo univoco la forma dei paradigmi

conoscitivi dal modo della produzione delle merci, ma questo per fortuna non è

proprio il caso.

La rivalutazione degli elementi pratici — rispetto a quelli razionali c h e si

trova in Feyerabend e Kuhn, prosegue con Toulmin, ma il modello storico di co-

memutano le idee delle scienze è ancora diverso. Le scienze si sviluppano con

continuità come le speci viventi e, come per le speci, il loro cammino è tortuoso e

può interrompersi. Avviene nelle scienze una sorta di selezione «naturale» dovuta

all'ambiente e quindi le teorie non sono eterne, ma si possono benissimo estin-

guere. Nessuna frattura, ma un processo continuo di adeguamento incessante tra

i contenuti «interni» alle scienze e l'ambiente sociale «esterno».

In Italia questo dibattito ha assunto aspetti diversi, un po' perché in genere è

caratterizzato in sensomarxista, un po' per provincialismo, un po' per la tradi-

zione culturale ed il momento politico in cui si colloca. Tutti questi fattori hanno

fatto sì che lo scontro assumesse come coloritura principale quella ideologico-

accademica legata alle posizioni del marxismo classico ed alla professionalità mili-

tante. Ad essere schematici — trascurando alcune differenze interne — da una

parte stanno alcuni filosofi (Paolo Rossi, Ludovico Geymonat, Lucio Colletti,

ecc.) e le loro scuole (di tradizione umanistica o meno) che battono sul tasto della

oggettività e della razionalità delle scienze dando di Marx una lettura engelsiana

o, peggio, secondointernazionalista; dall'altra stanno prevalentemente alcuni fisici

ematematici militanti, aperti verso le determinazioni storico-sociali delle scienze,

cheusano di Marx i passi più utopici. Sia gli uni che gli altri si rapportano ad

una tradizione culturale legata alla istituzione accademica, in cui sono collocati.

Per i primi, si tratta di risentimento-reazione contro lo spiritualismo, l'idealismo

crociano, il culto storicistico. I l complesso di inferiorità — dovuto alla parentesi

culturale fascista — li spinge a considerare come degna di essere importata ogni

filosofia che appaia «positiva» e «razionale». Nei confronti di coloro —come

Kuhn — che osano avanzare critiche radicali ai neopositivisti, a Popper, sono più

realisti del re — come accade ai provinciali — ed il rifiuto è radicale, magari

usandoparagoni con Spengler et similia.

I secondi, invece, essendo collocati in ambienti saldamente internazionali co-

me quelli scientifici, scoprono la falsità del mito dello scienziato-genio universale

modellato su Fermi ed, all'interno di questa crisi di identità, diventano sensibili

alle connotazioni storico-sociali-nazionali della loro scienza. I l dibattito epistemo-

logico è quindi per loro innanzitutto legato anche a crisi personali ed al momento

di contestazione del «68». La storia della fisica è scoperta come strumento politi-

co di attacco alla istituzione, che procede ancorata ad una concezione neutrale

della scienza. Kuhn ha immediatamente un ruolo di demistificazione dell'assetto

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