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lonesociologico: l'interesse per la «politica della scienza» e per le suebasi sociali

èmolto più esplicito, dove è anche più scoperto il rapporto diretto della scienza

con lo sviluppo economico; da noi, si può ancora fare finta di credere che l'a-

spettoessenziale sia quello «conoscitivo» ostentando un po' di disprezzoverso la

prassi, solo perché abbiamo una struttura industriale assai più dipendente e arre-

trata, i cui squilibri si celano anche dietro la maschera dei valori della cultura

umanistica.

In secondo luogo, vi è però in Italia una spinta molto più forte che altrove

per riferirsi al marxismo; da un lato, ciò è certamente il riflesso del fatto che la

storia del movimento operaio italiano è segnata da un grado di «autonomia» de-

cisamentepiù netta che in altri paesi capitalistici e da unamaggiore radicalità del-

lostessoscontro di classe. D'altro lato però la mediazione del revisionismo com-

porta che quel riflesso sia prevalentemente distorto e piegato in separatezza degli

intellettuali; ad essi tocca per lo più il compito di mascherare la neutralità capita-

lista sotto la falsa coscienza di un'ideologia, che teorizza che la sensibilità per i

risvolti sociali è comunque garantita al livello

dell'uso

della scienza.

Secominciamo ad esaminare l'area anglo-sassone, vediamo che in essa i l

problema centrale è come progredisce la scienza, il che implica anche comeessa

sidistingua dalla non-scienza. I protagonisti principali, cui vogliamo accennare,

sonoK. Popper, S. Toulmin, T. Kuhn, P. Feyerabend. Tutto ha inizio dalla crisi

del razionalismo classico, quando cioè si comincia a dubitare dell'esistenza di un

metodosicuro per inferire dai dati empirici proposizioni vere. Rinunciando anche

adun metodo di inferenza probabilistica (Carnap), Popper erige l'estrema trincea

adifesa della razionalità scientifica. Se nonpossiamoesserecerti in assoluto della

verità di una teoria scientifica in quantoessasia in accordo con tutti i dati speri-

mentali, pur tuttavia dobbiamo ammettere cheseesisteanche un soloesperimen-

to, che la confuta, essa va accantonata. Dando il criterio in negativo, si salva

quindi la razionalità, perché tale criterio sarebbe sicuro. Una teoria viene al più

corrobDrata da un esperimento, se è in accordo con esso, ma viene inesorabil-

mentecondannata (falsificata), se non lo è. Il progressoscientificocomeaccresci-

mento lineare delle nostreconoscenzesul mondo naturale avviene allora attraver-

souna continua opera di falsificazione dellevecchie teorie, che vengonosostituite

con altre nuove, dotate di maggiore potere esplicativo (perché sono in accordo

con un numeromaggiore di esperimenti). La teoria scientifica si distingue dalla

non-scientifica non più in quanto empiricamente verificabile, ma proprio perché è

passibile di progresso, cioè in quantosene può ipotizzare la falsificazione.

Così, ad esempio, secondoPopper la fisica è una scienza, ma non lo sono la

psicanalisi o la sociologia. Ma quale fisica? Quella che si pratica negli istituti di

ricerca e che ha un passato reale, oppure un'altra, che si dovrebbe uniformare al

criterio della falsificabilità? La scienzacome la vorrebbe Popper oggi non esiste,

nèè mai esistita in passato, come è facile dimostrare connumerosi esempi storici.

Solo un caso: nella razionalizzazione falsificazionista, la meccanica newtoniana

avrebbe dovutocessare di essereaccettata come vera in virtù dell'esperimento di

Michelson, mentre in realtà non solo la teoria della relatività fu formulata dopo

25anni, ma è opinione accreditata tra gli storici che Einstein addirittura ignorava

quell'esperimento ed era indotto a modificare la meccanica non già da un «con-

trofatto», ma da un cambiamento dei criteri sui principi costitutivi di una teoria

scientifica.

popperiani non si preoccupano molto di andare d'accordo con le scienze

comesono fatte in pratica, perché dividono il mondo in tre strati: quello delle co-

se, quello delle opinioni e quello della razionalità. In questo terzo mondo, tutto

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