

dei proponenti avrebbe dovuto abbreviare notevolmente la durata del processo (da
più di un anno a circa due mesi, in primo grado). A questo fine è stato anche previsto
un aumento del numero dei magistrati addetti alle sezioni lavoro. La novità degli
strumenti legislativi ha spinto molti giudici socialmente aperti a chiedere di far parte
di queste sezioni.
Questi apporti nuovi non sono stati tuttavia molto utili per una serie di ragioni:
in primo luogo, la mancanza di strutture (uffici, dattilografe ecc.) ha fatto sì che la
nuova legge in quasi tutte le località restasse lettera morta in fatto di accorciarnento
della durata dei processi, fallendo così il suo obiettivo di fondo; in secondo luogo, un
atteggiamento sindacale, in particolare della CGIL, sempre meno propenso ad
essere scavalcato in avanti da interventi giudiziari di un certo tipo, visti qualche
volta addirittura come una delle ragioni della persistenza in fabbrica di una conflit-
tualità considerata incompatibile con la attuale politica del sindacato, il che ha por-
tato con sè il venir meno di tutta una serie di liti che negli anni 70-72 erano state pro-
poste anche dal sindacato; infine, la nuova condizione della economia nella quale lo
spazio per il garantismo si è andato rapidamente restringendo di fronte ai problemi
posti dalla crisi. Ne è derivata una pressocchè totale sparizione di interventi giudi-
ziari su questioni di principio in materia di lavoro, scacciati da una pletora di casi
insignificanti (pagamento di straordinari, di arretrati di salario ecc.).
Il passaggio alle sezioni lavoro di molti giudici genericamente democratici ha
lasciato inoltre scoperti al tr i settori forse più di questo importanti. La relativa
modernità del sistema di relazioni industriali in Ital ia rispetto alla arcaicità del-
l'apparato dello stato e del sistema di rapporti tra stato e cittadini in materia di diritti
fondamentali ( in primo luogo quelli di libertà) avrebbe infatti richiesto anziché
l'esodo dai settori penali verso quelli del lavoro, un cammino inverso al fine di irro-
bustire la presenza democratico-costituzionale in certi gangli vitali degli apparati
giudiziari, ad esempio le procure della repubblica, le quali oggi rappresentano il più
solido puntello del conservatorismo giudiziario ed il cavallo di Troia dell'esecutivo e
degli apparati di coercizione a questo vicini (polizia, carabinieri ecc.) nel mondo dei
giudici.
8. Restano da esaminare gli ultimi due gruppi di fat t i , i quali si differenziano
dagli altri in quanto concernono non comportamenti tenuti da giudici nell'ambito del
ruolo, ma (lettera]) attività portate avanti al di fuori di questo, su un piano politico
generale (in questo caso il riferimento al ruolo viene utilizzato come strumento per
rafforzare le affermazioni, di contenuto prevalentemente politico, dei portatori del
ruolo nei confronti della opinione pubblica ecc.) o (lettera
g)
attività che l'intero
corpo gestisce per conseguire obiettivi di autotutela (rivendicazioni economiche
ecc.).
Le attività del primo tipo hanno rivestito una certa importanza in occasione del
referendum sul divorzio. Vi sono stati in quella occasione appelli, abbondantemente
diffusi dalla stampa, nei quali si metteva in luce la piena accettabilità dell'istituto. Si
sono avuti inoltre in quel periodo appelli anche da parte di sottogruppi di giudici (ad
esempio i giudici tutelari milanesi) nei quali il riferimento al ruolo serviva per smon-
tare una delle accuse rivolte alla legge Fortuna-Baslini, vale a dire di distruggere la
famiglia e di lasciare senza protezione i figli.
Una situazione dello stesso tipo si è riprodotta in occasione della discussione in
parlamento della legge Reale sull'ordine pubblico. Anche in questo caso si è ricorso
allo strumento delle dichiarazioni pubbliche firmate da un certo numero di giudici.
Ed ancora una volta è ritornato a riprodursi quella che è una costante della vita poli-
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