

sia mossa al di là dei l imi t i della legalità.
Le inchieste relative ad uccisioni di dimostranti continuano a giacere negli
armadi senza che se ne possa prevedere il momento finale (vedi per tutte l'inchiesta
Franceschi), laddove quei rari casi in cui si è avuta una condanna (ad esempio per la
morte del pens'ionato Tavecchio ucciso con un candelotto), questa è assortita di una
serie di perifrasi che suonano quasi di sctisa per essere stati costretti a censurare il
comportamento delle forze di polizia.
Le recenti vicende verificatesi a Milano (uccisione di Zibecchi) ed a Napoli (uc-
cisione di Costantino), nonché le sparatorie alle quali la polizia si è abbandonata a
Milano nel corso delle manifestazioni seguite alla uccisione di Claudio V aralli da
parte del neofascista Braggion, sparatorie documentate abbondantemente da prove
fotografiche e testimoniali, non hanno finora avuto alcuna influenza sul tradizionale
timore riverenziale dei giudici nei confronti degli appartenenti alle forze di polizia.
Così come il frequentissimo uso delle armi contro ladruncoli in fuga, con un numero
di morti che raggiunge nel corso di un anno totali impressionanti, rimane sostanzial-
mente non represso e tutto normalmente si esiurisce nell'invio di una innocua «co-
municazione» giudiziaria.
6. I l settore carcerario e quello dei manicomi sono entrambi settori che, più
ancora di quello concernente le forze di polizia, continuano ad essere sottratti ad
ogni approccio garantistico. Qui non sembrano riscontrarsi neppure quelle contrad-
dizioni che, nel settore descritto in precedenza, hanno costretto qualche volta i ver-
tici giudiziari ad operare sostituzioni di giudici per impedire che si andasse a fondo
nella ricerca sull'operato delle forze di polizia (vedi per tutte la girandola di sostitu-
zioni di inquirenti nel caso Franceschi). La strage di Alessandria, alla quale non è
stato estraneo il comportamento del procuratore di Torino Reviglio della Veneria, la
morte di Antonietta Bernardini nel manicomio di Pozzuoli, la incriminazione di
Basaglia ecc. mostrano come ci si trovi qui di fronte, forse per la pesantezza degli
apparati di stato, forse per la difficoltà di condurre battaglie garantistiche nei con-
fronti di «esclusi» privi di peso o di ideologia politica, ad un settore nel quale il dis-
senso giudiziario si è manifestato assai meno che in altri campi.
7. Gli interventi dei giudici in materia di lavoro meritano una analisi più ampia
di quanto è stato fatto per i settori considerati finora. E ciò per più di un motivo.
1 1970 ha visto l'entrata in vigore dello statuto dei lavoratori e la introduzione
di una sorta di garantismo anche all'interno delle aziende. Lo statuto inoltre conte-
neva un articolo, il 28, che affidava ai giudici il controllo sulla «antisindacalità» dei
comportamenti delle aziende. I giudici venivano così messi i n condizione d i
conoscere tutta una dimensione che era restata da sempre ad essi del tutto sco-
nosciuta. La loro risposta è stata nell'assieme non cattiva, soprattutto se si tiene
conto del tipo di cultura, esclusivamente di tipo logico-formale, dei membri del cor-
po.
Hanno giocato nel favorire questa risposta anche positivi condizionamenti per
così dire «territoriali», che hanno indotto molti giudici a comprendere le forme di
conflitto sociale, sia a livello di fabbrica che di campagne (un valido esempio di come
una forte tradizione sindacale possa condizionare in modo positivo i l comporta-
mento giudiziario anche in zone periferiche è dato dall'applicazione che dello statuto
è stata fatta in alcuni grossi centri delle Puglie).
Alla adozione dello statuto ha fatto seguito la introduzione di una nuova proce-
dura per la risoluzione delle liti in materia di lavoro, procedura che nelle intenzioni
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