

consonanza con le posizioni del PCI.
Il secondo congresso tenutosi a Napoli nell'aprile scorso è stato caratterizzato
da un tentativo del «centro» di ridurre il peso delle due estreme, quella legata al PCI
equella legata ai gruppi, operazione realizzata non tanto a livello programmatico
quanto con un accurato dosaggio degli eletti permanenti al consiglio nazionale della
corrente.
Un confronto tra i documenti conclusivi dei due congressi mostra come non si
riscontrino grosse differenze. Anche il documento dell'aprile scorso parla di collega-
mento con le organizzazioni politiche della sinistra alla stessa stregua del docu-
mento del 1973, il quale parlava di rapporto di MD con le forze politiche e sindacali
della sinistra e con le altre forze democratiche che operano nelle istituzioni, che
«consente di ricercare, nel rispetto della reciproca autonomia e senza aprioristiche
preclusioni obiettivi politici.., in un quadro strategico unitario inteso a battere i l
disegno reazionario e di ristrutturazione neocapitalistica». Anche il documento di
Napoli, sia pure con una accentuazione dell'elemento «garantistico» rispetto a
quello «partecipativo», contiene una analisi della situazione ed un impegno ad ope-
rare su di essa non molto lontano dalle posizioni tradizionali del gruppo: «Il quadro
politico attuale si caratterizza per una profonda crisi della tradizionale egemonia
borghese sulle istituzioni, cui non corrisponde ancora l'affermazione di una egemo-
nia alternativa del movimento popolare. Questa crisi si inserisce in una situazione
che già da alcuni anni vede la istituzione giudiziaria caricata di responsabilità diret-
tamente politiche e così di un ruolo di copertura delle carenze e dei contrasti di dire-
zione politica del paese. Una parte della magistratura, per il riflesso nella istituzione
del montare delle lotte e della crescita del movimento popolare, ha tuttavia cercato
di svolgere la propria funzione anche in presenza di compiti che ne travalicavano i
limiti tradizionali: sono state portate avanti inchieste tenaci e delicate che hanno
toccato livelli di potere e settori dell'esecutivo sinora al di sopra di ogni controllo.
Ciò ha determinato interventi dei centri di potere giudiziari che, allineati con la parte
più retriva del potere politico dominante, hanno bloccato gl i sviluppi di quelle
inchieste, a costo di vistose lacerazioni della legalità. Ne è derivata, da un lato, una
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asta presa di coscienza del ruolo antidemocratico di quei centri di potere giudiziari,
sinora propria soltanto delle classi popolari, dall'altro una accentuazione del pro-
cesso di sfaldamento istituzionale, per altro verso utilizzato e perfino aggravato al
fine di imporre una svolta autoritaria. La realizzazione di questo disegno passa
attualmente attraverso una offensiva ideologica che tenta di ricomporre la crisi poli-
tica e sociale facendo leva su temi sui quali i livelli di coscienza politica sono più
arretrati e su situazioni sociali come quella del mezzogiorno, che sono mantenute in
condizioni di sottosviluppo. In questa linea si inserisce la strumentalizzazione del
problema della criminalità anche attraverso proposte di modifiche legislative, in
parte già approvate, che, palesemente inidonee a prospettare una risposta razionale
anche al solo livello della istituzione giudiziaria, hanno i l solo scopo di creare un
nuovo blocco d'ordine».
I mezzi prospettati per contrastare questo indirizzo sono anche questa volta di
due tipi: da un lato una attività professionale che tenga conto, nello svolgimento dei
suoi compiti, delle «nuove tematiche sociali» e che recuperi i «valori garantistici
affermati nella costituzione», dall'altro una estensione del controllo popolare sulla
istituzione giudiziaria «attraverso una opera costante di controinformazione sul-
l'uso distorto del potere giudiziario», controllo da attuare con apporti forniti anche
dai membri democratici del corpo. Azione interna ed azione esterna sono prospet-
tate insieme senza che una delle due venga privilegiata, in conformità di una espe-
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