

Goffredo Fofi
CINQUE FILM
«Non toccare la donna bianca» di Marco Ferreri
Il nostro cinema, e forse non solo il nostro ma il nostro in modo più evidente, è un
cinema privo di gioventù e privo di maturità. Registi giovani di impeto e di età non ne
conosciamo, e i registi maturi sono, da noi, senili. Pensiamo, di recente, alla turistica
bétise dell'ultimo Antonioni, al suo immane bagaglio di luoghi comuni, di noia levi-
gata: i l suo film è certo i l meno interessante di una carriera, morta retrospettiva-
mente ai nostri interessi non turistici con lo sbarco in Sicilia della Vitti a metà del-
l'Avventura.
Pensiamo all'olezzante adunata dell'ultimo Visconti, astenotrofio di
lusso e amplessi di tibie e femori. Ma già anche alle «storiche» cavalcate romanesche
di Ettore Scola, grate ai sornioni riformisti e in lode al più svaccato neorealismo rosa
(non Ladr i di biciclette, ma Pane amore e politica).
Per questo la presenza di Ferreri, l'unico dei nostri registi e forse dei nostri intel-
lettuali che sa essere anche europeo, ha qualcosa di tonificante. I l suo umor nero è
determinato da qualcosa che ci concerne e non da ubbie salottiere, il suo pessimismo
trova radici in un'analisi, come si dice, corretta, e le sue vendette hanno sapore e
spessore. Questo teatrino didascalico dove non esistono personaggi e psicologie ma
emblemi, funzioni sociali, contrapposizioni di ruoli, e dove si scivola con beata roz-
zezza nell'allegoria senza sacro, è tuttavia troppo sarcastico per essere epico. I l
modello è quello di un guignol che si prende sul serio, o di un fumetto da alfabetizza-
zione a tappe forzate: gioco che ribadisce cose note e ovvie, per la sinistra, ma che le
cuce sui fondali di un genere occidentalmente acquisito dai pubblici più indiscrimi-
nati e infantili in tutte le sue ficelles.
Un regista così naturalmente distanziante non ha il problema di Brecht, e così
raffinato nel suo peculiare narcisismo non ha il problema di Godard e del suo inva-
dente autobiografismo: ma neanche quello dell'alta mediazione brechtiana e del-
l'invenzione godardiana. Si soddisfa qui —dopo le sue grandi metafore sul vuoto
borghese da riempire—di una rapida carrellata in un genere, cercando di delinearvi
un ribaltamento dei significati, attraverso però i l rispetto di convenzioni scrutate
con occhio malevolo. Ci sono così la banca e la ferrovia, l'avanzata del «progresso»
ela sua controfaccia di «reazione» (Custer). Lo spietato e l'umanitario, il paterna-
lista e il fascista non sono mai simboli, sono definizioni di ruoli e di divise all'interno
di un sistema ugualmente coinvolto, quello dell'imperialismo e del capitale.
Abbiamo il Banchiere e il Politico, il Militare e l'Attore, lo Scienziato e il Pedagogo
del Sistema. Dall'altra parte, lo scout venduto, il saggio, il teorico, il vecchio, i guer-
rieri sono non divisioni di ruoli economico-so,ciali, ma atteggiamenti nei confronti
della rivoluzione, posizioni all'interno di un blocco degli oppressi di cui non si
intende analizzare meglio la struttura sociale interna, in quanto accomunati da
un'unica oppressione. E Ferreri si colloca ovviamente e coerentemente all'interno
del primo contesto, come fotografo-giornalista di corte, vedendosi ironicamente e
coscientemente come parte del sistema. La falsa coscienza del quale èmaggiormente
esplosiva nel personaggio femminile di una Catherine Deneuve tranquillamente coa-
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