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chevanificava l'esistente e invocava Thanatos. In un'epoca di «repressione desublimata»,

per dirla con Marcuse, questoprocessoè diventato impensabile, quindi vienemeno anche il

rapporto

reale

tra i dolori del vecchioedel nuovoWerther. Per mantenere inqualchemodo il

parallelo, occorre che il desiderio sia represso almeno da una parte, quella della donna, che

infatti risponde indignata «Che cosa va a pensare lei?» al padre di Edgar che chiede se

l'aveva amato. Charlie nonpuòdomandarecome Lotte aWerther «Perchè propriome?»: già

Nicolai, il piatto illuminista autore delle

Gioie del giovane Werther,

obiettava a Goethe che

Lotte avrebbe potuto benissimo divorziareperasposareWerther, e da allora èpassata molta

acqua sotto il ponte delle istituzioni. Tuttavia Charlie trova naturalissimo di rimanere attac-

cata al suo secchione, futuro membro della ben pagata intellighenzia della RDT, anziché

approfondire il rapporto con l'affascinante irregolare Wibeau, che considera un fannullone.

Come Lotte, essaha introiettato la norma socialee ingeneralesi adeguabeneal suomodello,

chedel resto non conosce. Anche Wibeau deve recuperare un minimo di sublimazione, lui

chedichiara di zompare addossso a tutte («Può essereche mi pigli un paio di sberle, ebbè?

Sempremeglio di un'occasione perduta.», p. 37), poichéseseguissesubitoquestasua abitu-

dineanche con Charlie il gioco finirebbe li, qualsiasi fosse l'esito. Perciò dice: «Mi ci man-

cavapoco di tentare

tutto.

Voglio dire, sì che volevo, solonon subito. Non lososemi capite,

ragazzi. Per la prima volta, volevo aspettare» (p. 53). Anche se aggiunge di avere avuto

paura delle sberle, c'è la vaga intuizione che l'amore differisce dal puro desiderio in quanto

esige o almeno tollera il differimento. Ma, ahimè, dalla versione teatrale si apprende che

anchequesta intuizione è suggerita dalla lettura del

Werther.

Edgar legge: «Ella è santa per

me. Ogni desiderio tace accanto a lei». E commenta: «Gente! Che bei discorsi! Soprattutto

quello del desiderio!—Cioè, in fondo non era poi così scemo...»Segue l'applicazione al suo

caso. Quindi anche qui Edgar si è fatto dare l'imbeccata.

Nel

Werther

la frustrazione amorosae la rivolta socialesonocollegate già dal semplice

fatto cheAlbert, il marito di Lotte, èanche il prototipo di ciòche la societàsi attende daWer-

therecheegli nonvuoleenonpuòdiventare: un funzionario perfetto, un tranquillo ingranag-

giodelmeccanismo sociale. Questa identificazionemanca in Plenzdorf: il marito di Charlie,

Dieter, èbensì un conformista, manon appartiene all'ambiente di lavoro di Edgar, così come

lastessa Charlie. I personaggi appartengono a sfere separate che entrano in contatto solo

attraverso Edgar, spesso anzi solodopo la suamorte. Nè potrebbeessere altrimenti, poiché

siamo nella Berlino di oggi e non nella Wetzlar del Settecento. Quindi la rivolta sociale di

Edgar nasceesi esaurisce (sesi prescinde

daiflash back

sul periodo scolastico) nella brigata

di lavoro, esi manifesta nel suo isolamento e nella spasmodica concentrazione sulla propria

invenzione. È l'invenzione che fa di lui «un fissato», comeViene definito da varie parti, eche

lo porta a morte. Il disagio sociale e la speranza di autorealizzarsi sono legati a unamacchi-

na. Altri tentativi di uscire dalla propria situazione, come la pittura astratta, restano episodi-

ci. Ora quello dell'invenzione è un motivo diffusissimo nella letteratura socialista, secondo

unostereotipo che è più o meno sempre Io stesso: Tizio hamesso a punto un brevetto che

migliorerebbe l'efficienza, risparmierebbe lavoro, aumenterebbe la produzione,

ergo

servi-

rebbe al socialismo, ma urta in epoca staliniana contro la cattiva volontà di qualche sabota-

tore, agente del nemico ecc., in epoca poststaliniana contro il conformismo e la burocrazia

(qualche notorietà ebbe durante il disgelo il romanzo di Dudinzev,

Non di solo pane).

Alla

fine, grazie all'intervento della collettività o di qualche autorità dabbene, il traditore viene

smascherato o il burocrate rimosso, il brevetto vienemesso in opera e tutto termina in un

inno al lavoro.

Ciò che rendequesto

topos

così deprimenteè l'identificazione del socialismocon l'ideo-

logia produttivistica, identificazione che può acquisire qualche legittimità solo in periodi di

ripresa dopo un collasso economico, come in Russia al tempo della NEP o dopo la seconda

guerramondiale (nella RDT in certe

pièces

di Heiner Mueller). Quali siano i veri problemi

dell'operaio in regime socialista, nonmolto dissimili dai nostri, lo rivela il bellissimo libro del-

l'ungherese Miklos Haraszti, cheè potuto uscire solo in Germania occidentale

(Stuecklohn,

Berlin, Rotbuch Verlag 1975). Quel chesenedesumeèche l'ultima cosache viene inmente

all'operaio è di perfezionare la macchina, ciò che significherebbe perfezionare il proprio

sfruttamento. Al contrario, Haraszti scorge l'intenzione socialista nell'utilizzazione abusiva

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