

co» (è pur sempre un modo di dire: si ricordi solamente l'assalto all'«Avanti!» del 15
aprile '19 eseguito da un manipolo di arditi certamente su suggerimento di Mussolini
in persona), scatena l'aggressione armata contro i centri sindacali, politici, coopera-
tivistici, ricreativi del socialismo, senza cessare mai il vellicamento delle ambizioni
politiche della piccola borghesia. Essa sente che potrebbe finalmente essere il suo
momento, il momento di «dire la sua» nella società, contro la classe dirigente tradi-
zionale che ne ha fiaccato gli orgogli, contro il proletariato—e il socialismo che con
esso viene identificato—che ha ben più di quel che non meriti e soprattutto non si
accontenta di quel che già stringe. Ma è una «terza forza» che vuole, in verità, esat-
tamente quello che richiede e che sta a cuore alla grande borghesia. Quindi è vero
che anche sul piano sociale i l fascismo appare nella fase dell'ascesa al potere un
movimento a base piccolo e medio-borghese, ma è altrettanto vero — e fingere di
dimenticarlo sarebbe colpevole—che in quel momento i ceti medio e piccolo-bor-
ghese si schierano alla destra del panorama politico nazionale. Il fascismo, insom-
ma, può ancora essere definito insurrezione dei ceti medi? Non mi pare proprio; a
meno che non si intenda la proposizione nei termini gramsciani: «l'insurrezione del-
l'infimo strato della borghesia italiana, cui la guerra ha dato l'illusione di essere
buoni a qualcosa e di dovere per qualche cosa contare»
(«L'Ordine
Nuovo», 25
maggio 1921), quel ceto «che ritiene di poter risolvere questi problemi giganteschi
con le mitragliatrici e le revolverate» e, in effetti, è esso che «alimenta il fascismo»,
ma nel senso che «dà gli effettivi al fascismo» (ivi, 25 maggio 1921).
il problema della differenziazione tra base sociale e base di massa, tra finan-
ziatori e truppe (20). E il problema dei rapporti tra piccola borghesia e grande bor-
ghesia. Ha scritto Poulantzas nella sua analisi comparata del nazionalsocialismo e
del fascismo: «per quanto si può parlare di interessi politici a corta scadenza propri
della piccola borghesia, il partito fascista ne è il rappresentante effettivo durante la
prima tappa del processo di fascistizzazione» (21). Ma, in certa misura anche aldilà
delle scansioni temporali (una prima fase prevalentemente piccolo-borghese, cui
seguirebbe una assolutamente dominata dalla grande borghesia), bisogna osservare,
con Togliatti, che «la linea su cui si orienta il fascismo è la linea degli strati decisivi
della borghesia» (22). Naturalmente, è un fatto che esistettero sempre delle contrad-
dizioni tra piccola e grossa borghesia pur nell'accomunante adesione al fascismo,
contraddizioni che il duce non riuscì a eliminare mai del tutto, malgrado il cemento
ideologico unificante. E, in verità, saranno proprio .di carattere ideologico le sod-
disfazioni più ricorrenti, per non dire le uniche, che il fascismo al potere, nel dipa-
narsi del tragico filo che porterà dalla guerra civile del '20-22 alla guerra civile del
'43-45, concederà ad un ceto medio di fatto sempre, indubitabilmente, subordinato a
scelte vantaggiose, sul piano dell'economia, per i ceti superiori.
3. Primo e secondo fascismo
Tali, in sommi capi, gli elementi nodali della questione piccolo-borghese in
relazione alla nascita e all'avvento del fascismo: sembra aria fritta—eme ne scuso
con i lettori —, eppure l o storico De Felice, i l maggiore studioso italiano del
fascismo, pone a fondamento della propria interpretazione del ventennio, e in parti-
colare dell'ascesa al governo, la centralità del ruolo svolto dal ceto medio, quasi che
da Salvatorelli in poi non ne fosse scorsa di acqua (anzi, di inchiostro). Allora si ha
ben ragione di lamentarsi, come qualcuno ha fatto, di fronte a siffatte analisi, che la
storiografia odierna in tema di fascismo, e in particolare di origini, non ha «conse-
guito risultati sostanzialmente nuovi rispetto a quelli dei contemporanei della
128