

quasi. Se toccano dell'esplosivo, gli scoppia in mano; se fanno una rapina, ci trovano
i carabinieri in forze. Se fanno una rivolta in carcere, come obbiettivo si pongono
quello di farsi trasferire in un altro carcere (anche se a questo si possono trovare
spiegazioni più razionali come l'estendere la presenza attiva del gruppo).
É quasi impossibile non pensare che l'infiltrazione poliziesca o comunque
estranea abbia raggiunto i centri nevralgici del gruppo, non si limiti alla presenza di
qualche provocatore per sapere o per distorcere, per sventare o facilitare, ma arrivi
alla direzione stessa del gruppo. Sulla emarginazione sociale o la ambiguità politica
di alcuni dei componenti noti per morte o rivolta, c'è da osservare che è naturale dato
l'ambiente sociale, le carceri, cui il lavoro dei Nap in particolare si rivolge. In questo
caso, la tragedia è duplice e, almeno per un aspetto, inevitabile, oggettiva. Tutto ciò
che studiosi e militanti politici hanno scritto sulle carceri e che è empiricamente e
logicamente fondato; lo stato di barbarie in cui versa l'amministrazione della giusti-
zia in Ital ia; la violenza; l'origine sociale dei detenuti (e dei secondini); i l carcere
come scuola di reato e di violenza; la inadeguatezza del carcere come forma istitu-
zionale: tutto questo non diventa meno vero perché la particolare azione di rivolta
dei carcerati appare totalmente non condividibile. Noi possiamo aspettare con con-
seguenze solo indirette o a livello di sistema (una società che ha queste carceri è una
società malata). I carcerati no. Non è che intraprendano azioni di rivolta politica-
mente folli perchè qualcuno gliel'ha detto. Se non ci fosse stato un movimento poli-
tico dei carcerati e una riflessione teorica sulle carceri, le rivolte sarebbero ancora
più folli. La violenza, la follia, che si scatena nelle carceri e fuori di esse è il risultato
delle disgregazioni e delle tensioni sociali e private, della violenza istituzionale. La
politica è l'uscita da questo, il modo di rendere comunicante, efficace, risolutiva la
carica esplosiva accumulata. I l fallimento del movimento politico dei carcerati non
sta nel fatto che ci siano rivolte, ma nel fatto che siano ancora folli. Tutt i abbiamo
letto degli inspiegabili delitti delle metropoli americane: delle bande di ragazzini o
poco più che accoltellavano i passanti a caso per provare di essere uomini e per
vedere che senso faceva infilare un coltello dentro un uomo. La maggiore politicità
di massa della società italiana, l'esistenza di una ipotesi alternativa, impedisce
questo tipo di violenza, non la provoca. Che ce ne sia ancora, dipende non dal fatto
che di politicizzazione ce n'è troppa, ma che ce n'è troppo poca. Conviene sempre
ricordare che in anni di lotte politiche estremamente dure, i l '68, i l '69 (prima del
dicembre, naturalmente), non ci sono stati morti. La violenza delle rivoluzioni non è
parente di quella di piazza San Babila; è, negli scopi, nei modi, un'altra cosa. I l
proiettile nel polpaccio di De C arolis, così opportunamente .venuto a rilanciarne la
candidatura, non è un eccesso di politica ma una carenza di politica.
I l mutamento della situazione internazionale
L'ultimo anno, e in particolare gli ultimi mesi, hanno visto un'accelerazione del
mutamento della situazione internazionale. Vengono al pettine i nodi dell'imperia-
lismo americano. La crisi economica marca le distanze, in qualche caso rimette in
discussione gerarchie.
É inutile sottolineare in questa sede i l trionfo del Vietnam i l primo maggio.
L'equilibrio del sud-est asiatico è definitivamente mutato. Questo ci riguarda emoti-
vamente e politicamente. Ma non è il solo elemento di mutamento. L'intera area del
Mediterraneo è in subbuglio per l'aumento del peso economico e politico dei paesi
drabi e per la crisi di sistema delle tre maggiori dittature dell'area: i l regime dei
colonnelli greci e i due fascismi storici spagnolo e portoghese, mentre i l mercato
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