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avvisaglie di crisi fin dal '70. Troppa grazia. Quella era una difficoltà produttiva spe-

cificamente italiana, ma reale, che il movimento operaio ha superato di slancio, mal-

grado il calo di produzione sia stato ben più marcato di quello del '64. Tra il '70 ed

oggi ci sono due anni di netta ripresa come il '73 e lo stesso '74. Nel corso del '73

taluni settori, come la meccanica di precisione, sono aumentati di quasi il 50%, con

unsostanziale mantenimento del livello nell'anno uscente. L'indice generale della

produzione industriale è aumentato nel '73 del 9,7%; nel '74 del 4,4. La produzione

di beni di investimento è aumentata nel '73 del 8,6%; nel '74 del 9,1%. La produzione

di impianti emacchinari è aumentata nel '73 del 6,9%; nel '74 del 12,9%. E, per usare

le parole della relazione del Governatore, «L'aumento dell'occupazione (nel '74) è

stato del 2,2%, il più elevato dal 1959, e ancora più sostenuto considerando i soli

lavoratori dipendenti». Anche se è vero che «Alla forte caduta delle assunzioni, di

intensità mai osservata in passato, ha corrisposto sia un forte aumento dei trasferi-

menti fra stabilimenti diversi della stessa impresa sia una sensibile diminuzione delle

uscite derivante dalla flessione dei licenziamenti e dal rapido ridursi del numero dei

dimissionari».

Fino alla fine del '74 l'aumento del numero dei disoccupati non è preoccupante

(si superano di poco le 200.000 unità, cioè 150.000 in meno del gennaio '73). Ma ci

sonoben 400.000 giovani in cerca di prima occupazione. Tanti quanti nel gennaio

'73, cioè moltissimi. Ora la produzione, nel primo trimestre del '75, è ancora dimi-

nuita. Anche sedovesse riprendersi per l'autunno, cioè prima di quanto non preve-

dano molti di coloro che hanno scritto sul tema, chi ci garantisce da una ondata

postelettorale di licenziamenti, sia che li si faccia perché non c'è più il voto da temere

eper le politiche la gente avrà dimenticato, sia che li si faccia per aprire le ostilità in

caso di sconfitta più seria dei partiti dei padroni?

Ci può garantire solo la forza politica del movimento operaio nel paese. Ma

non si tratterebbe di licenziamenti «obbligati», fatti perchè la barca affonda e le

aziende hanno l'acqua alla gola. La relazione C arli, che certo non è trionfalistica,

mette però l'accento su problemi, come quello del controllo del capitale finanziario,

ormai dominante, o quello della ristrutturazione amministrativa, o quello della

gerarchia mondiale del potere, che sono squisitamente politici. Certo, non si può

chiamare «normale» una situazione in cui l'indice dei prezzi all'ingrosso è a 316

rispetto al '70 per i combustibili, a 195 per i prodotti chimici, a 173 per i tessili e a

198 per il totale dei prodotti industriali. O un indice del costo della vita arrivato a

161 rispetto al '70. Nè si guarda con tranquillità a un tasso di assunzioni che passa in

unanno da 81 per mille operai a circa 18 per mille operai.. Ma l'informazione mag-

giore della relazione èche questo «blocco» delle assunzioni si è verificato con il mas-

simo aumento dell'occupazione in un quindicennio. E che la bilancia dei pagamenti è

tornata in sostanziale pareggio. Restano aperti i problemi di fondo, che sono di pote-

re.

Il governatore ci comunica che dagli studi della Banca d'Italia risulta che «tra il

1962 e il 1973 i capitali di rischio delle società con prevalente partecipazione statale

sonoscesi dal 44 al 19%; i debiti complessivi sono saliti dal 51 al 73%, esclusiva-

mente per effetto di quelli verso istituzioni creditizie, cresciuti dal 37 al 62%... Nelle

società private i capitali di rischio sono scesi dal 56 al 33%. Qualora si procedesse

alla rivalutazione del capitale fisico edei fondi di ammortamento in base ai prezzi di

rimpiazzo e si attribuissero i maggiori valori ai capitali di rischio, nel 1973 questi

risulterebbero del 34%, anziché del 19 nelle società con prevalente partecipazione

statale e del 39 aniichè del 33, nelle restanti».

In parole povere, il peso del capitale finanziario èconsiderevolmente cresciuto,

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