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èsempre vero. La specificità di questa analisi è che in questo caso lo è particolar-

mente. Che non sembra ci siano i dati per parlare di una crisi così lunga e travolgente

daessere

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problema, di per sè.

Come C arli non finalizza la sua politica economica a risolvere la crisi o ad otte-

nere al più presto il massimo possibile di aumento del Prodotto Nazionale Lordo,

così sarebbe folle che il movimento operaio si proponesse «il rilancio dell'economia»

come obiettivo. C'è invece bisogno di provvedimenti unificanti di questa divisissima

classe operaia italiana, di chiarimenti istituzionali, di espulsione dal potere degli

attuali gruppi dominanti. All'interno del quadro politicamente mutato, istituzional-

mente chiarito (crescita del potere di controllo dei sindacati, regolamentazione e

controllo del credito non da parte di organi burocratici, ma da parte di organi eletti-

vi), può riprendere la crescita civile e democratica del paese ed anche il suo sviluppo

economico. Ed è possibile anche il prodursi di reali accelerazioni nel controllo ope-

raio e popolare sul potere.

Non è la prima volta che il movimento operaio si trova di fronte ad una reces-

sione e le misure che si propongono si somigliano sempre.

Al congresso di Bologna, nel 1965, il documento preparatorio diceva: «... una

stabilizzazione monetaria fondata sulla politica dei redditi implica il mantenimento

delle strutture in atto, riproducendo aggravati a breve scadenza i termini reali della

crisi.., la lotta per la programmazione democratica rappresenta per la CGIL un

momento essenziale della sua iniziativa... È apparsa la difficoltà di collegare la lotta

rivendicativa contro l'aumento dello sfruttamento e la riduzione dell'occupazione al

conseguimento di misure di politica economica, lungo la direttrice delle riforme di

struttura... I l sindacato di classe riafferma l'interezza dei contenuti 'politici' delle

lotte rivendicative... Si devono realizzare: il pieno impiego della forza lavoro; la

riforma del fisco, del credito e della pubblica amministrazione.., incisivi interventi

nel settore industriale.., la riforma agraria.., la formazione di una rete democratica

di distribuzione.., la riforma urbanistica... la formazione di una rete di trasporti fun-

zionale allo sviluppo economico... l'adozione di un piano per la scuola... la riforma

della previdenza sociale...».

E Vittorio Foa nel suo intervento diceva: «... a mio giudizio èungrossosucces-

so... che l'insieme dell'organizzazione abbia compreso che questa crisi economica

non è semplicemente una pausa in un processo di espansione, non è semplicemente

unperiodo di discesa del ciclo, ma è una svolta importante dell'organizzazione pro-

duttiva del paese... è in atto un processo di ristrutturazione produttiva il cui esito è

destinato a pesare sui rapporti tra le classi e quindi sui rapporti sindacali. La nostra

organizzazione e l'insieme dei lavoratori.., hanno respinto la comoda e falsa tesi che

ci troveremmo in un periodo di transizione, che conviene dunque stare fermi: pas-

sata la grandine torneremo a camminare in avanti, ma oggi bisogna aspettare... I

lavoratori hanno compreso che se si sta fermi in questa fase si corre il rischio di star

fermi per un lungo periodo di tempo perchè è in questa fase che si determinano e si

modificano i rapporti di forza tra le classi».

Sono citazioni in qualchemodo sconfortanti perchè così poco si è realizzato del

programma di allora eperchè benpocoèseguito all'alta dichiarazione di consapevo-

lezza di Foa, che tra l'altro, senza saperlo, parlava a recessione finita.

Cosa c'è di diverso questa volta? Un maggior logoramento del potere, non solo

in termini elettorali, una maggiore divisione del fronte padronale (su cui però con-

viene non farsi illusioni), una crescita del movimento operaio, almeno nelle aree for-

ti, la crescita di un'area politica a sinistra del PCI, un mutamento della situazione

internazionale. I padroni hanno però fatto ricorso più volte, a fini elettorali e struttu-

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