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giorni. Tre parti relativamente autosufficienti s ped i t e come pallottole. La

stessaprovincia, lo stesso paesaggio, gl i stessi personaggi del Bilenchi di sem-

pre — e anche lo stesso rifiuto della psicologia. Ma anche, con l'eccezione par-

ziale e giustificata della prima parte, i l rifiuto della contemplazioned'adolescenza.

E soprattutto la volontà di toccare i l massimo, di raggiungere attraverso brevi

capitoletti segnati con tratti di pennarello fino e grosso, essenzialissimi e senza

faccema pieni di antenne, la definizione di tre epoche-chiave, e attraverso esse

di una storia che è la storia della lotta di classe in Italia come della generazione

di Bilenchi. Una storia politica e umana in cui eserciti, partiti e squadracce, forze

economiche e forze sociali, gruppi e masse, intervengono col peso che hanno in

ogni umana vicenda che non sia •di rifiuto programmatico e vile della realtà per

vagheggiarne un'altra che s'immagina "pura".

Mase le forze che intervengono sono tante, è tuttavia al personaggioMarco

che i l romanzo riporta: che ha in sè la vicenda tutta di un'intellettuale che molto

rappresenta: l'intellighenzia nata alla politica con la guerra e la resistenza, e

insieme la linea ondulata di una piccola-borghesia tentata dal fascismo, accostatasi

al proletariato con la mediazione del partito e l'esperienza antifascista, e — si

dovrebbeaggiungere — rientrata nell'alveo della maggiore borghesia i n posi-

zioni servili e manipolate. Bilenchi, rifiutando una distanziazione critica, spinta

fino all'oggi, preferisce però chiudere• il suo libro al '48, a Scelba, alla repres-

sioneantioperaia e alla morte sanguinosa delle illusioni d i cambiamento. E a

questo punto ci interessa poco che Bilenchi sia oggi tornato al partito, o che gli

scarsi officianti dell'Unità incensino per questo i l suo libro. L'ultima parte, che

è la più volutamente patetica, è anche di interna disillusione e condanna,' con lo

sguardo più lucido che l'oggi permette, su un mancato assalto al potere bor-

ghese (una mancata rivoluzione), che ha permesso al potere borghese, ben oltre

il fascismo, di ricomandare, di riopprimere, di riuccidere. E', anche, un capitolo

di tremendaaccusa a una linea politica che ha disarmato le masse e ha portato

aquel che ha portato. ( In questo senso è significativo, e da noi perfettamente

condiviso, che la resistenza del libro sia ammasso di avvenimenti, guerra e ca-

sini e movimenti di difficile senso, in cui agisce un'avanguardia senza quel se-

guito di massa che solo l'ultima parte lascia prorompere: contro i miti della re-

sistenza rossa, Bilenchi sembra opporre la visione di una speranza rivoluzionaria

successiva,

dopo che i l partito ha davvero conquistato le masse, post-'45: i l vero

tradimento è appunto i l '48, con cui definitivamente Togliatti chiuse allora ogni

prospettiva rivoluzionaria).

Aquest'arco vastissimo di incertezza, speranza e sconfitta, la scrittura di

Bilenchi tiene testa con un'oggettivazione i cui rimandi sopravanzano di gran lunga

quelli della sua personale formazione e i suoi vari toscanismi, in uno strano di-

sagio formale ( anti-neorealista, antimetellista, anti-populista anche se è storia di

popolo, anti-manniano, anti-ricattatorio, eccetera). Egli sintetizza e distanzia, e

interviene a descrivere ( ancora i l paesaggio fatto però sostanza storica anch'esso,

e il fluire asciutto delle vicende) tagliando in una struttura chespezza i tre quadri

in flash di norme (personaggi e sfondo, in posa) e scatti (interventi nuovi, ri-

torni, acquisizioni) che portano a nuove stasi sintetizzanti. E allontana la vicenda

privata consegnandola ai modi di un'aggettivazione sentimentale da scolaro di

quarta o da traduttore di giapponesi, sì che l'informazione si dilata costante-

mente e

permetfe

al lettore, anchese richiede una attenzione non da "teoria delle

centopagine", i l reperimento di una dimensione lucida, razionale e vasta eppure

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