

compresocome la lotta vada indirizzata in modo daessere più costosaper il padrone
che per loro stessi. Hanno visto cadere definitivamente quello «stile» ENI del
negoziato, hanno visto la direzione ricorrere alla provocazione e alla polizia. Ma
soprattutto hanno imparato a non tollerare la presenza della polizia sul luogo di
lavoro, a limitazione della libertà di sciopero. Hanno visto d'altronde che per _far
sloggiare la polizia il sistemapeggiore è quello consigliato loro dai sindacati e cioè
di essere «più compiti e riguardosi» verso PENI, mentre i l sistema migliore è
quello d'imporre all'ENI un costo politico ed economico più alto di quanto lo
sarebbe stato se non avesse fatto intervenire P.S. e carabinieri. Hanno imparato
soprattutto che solo i rapporti di forza possono far recedere la direzione da atteg-
giamenti repressivi ( i licenziamenti). Hanno imparato che, se ben organizzati, i
lavoratori possono portare questi rapporti di forza a un livello molto alto. La
conclusione è che i lavoratori sono ancora deboli di fronte al padrone, troppo
deboli per non subire un altro accordo molto lontano dai propositi iniziali, ma
che
la
possibilità di essere più forti c'è e basta volerla. Ovviamente a questo punto
il discorso coinvolge in prima persona i sindacati, sottoposti durante tutto i l corso
della lotta a uno stretto controllo da parte dei lavoratori, fino al loro totale scavai-
camento in più di un'occasione e sempre tra le più decisive. Ciò ha prodotto una
serie di contraddizioni anche nelle altre società. Le «baronie sindacali» dell'ANIC,
della SNAM e dell'AGIP hanno subito molti scrolloni: tanti sindacalisti che già
si sapevano venduti al pacfrone sono stati tirati in superficie. Sono figure ormai
tradizionali, vere istituzioni, che l'azienda, passata l'onda montante, tira e rilan-
cia per farli pesare nelle trattative, dando loro la possibilità di ricreare un sotto-
boscoclientelare; è tutta questa struttura clientelare e mafiosa che la lotta fa
scricchiolare.
Ma più che a criticare a parole i l comportamento sindacale, i lavoratori della
SNAMProgetti e SAIPEM hanno badato a conquistarsi forme di lotta e di orga-
nizzazioneautonoma, analoghe a quelle di tutte le grandi fabbriche italiane alla
avanguardianelle lotte. Ed è questa libertà di lottare nei modi e nelle forme volute
che i lavoratori intendono difendere a tutti i costi.
Tutto questo, contrariamente alle calunnie contro gl i «estremisti che divi-
dono la classeoperaia», ha contribuito enormemente a rinsaldare l'unità dei lavo-
ratori. Ciò che ha vinto, nella vertenza SNAM Progetti, è stata proprio l'unità dei
lavoratori, che ha conquistato alla lotta anche delle zone tradizionalmente bianche
dell'ENI (come l'AGIP e la SNAM), dove lavoratori e lavoratrici relegati nei
gradini più bassi della gerarchia aziendale e con le mansioni più ripetitive hanno
ripreso fiducia nella lotta e nella solidarietà di classe, così le centraliniste della
SNAM, i telescriventisti, le perforatrici dell'AGIP ecc.
Possiamo riprendere tranquillamente e sottoscrivere quanto hanno scritto
alcuni compagni dell'AssembleaAutonoma dell'Alfa Romeo, nel documento «Con-
tro il padrone di stato»:
«L'AssembleaAutonoma nel corso di questi ultimi quattro mesi di sciopero
èstata i l punto di riferimento politico permanente e qualche volta è riuscita a
strappare ai sindacati e al PCI i l controllo della lotta, è riuscita a «parlare» alle
masse.Nelle fasi più acute ha spinto verso forme di lotta che hanno permesso i l
massimo di mobilitazione ed una partecipazione più diretta degli operai ( ...) I n
unasola fabbrica, soprattutto se è grossa come l'Alfa Romeo e con avanguardie
alla testa delle lotte, i l sindacato può venir scavalcato, può esseremesso tempo-
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