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intendersi l a conoscenza complessiva del ciclo produttivo da parte degli

operai, la possibilità per l'operaio di decidere la quantità e la qualità del

prodotto, d i decidere che cosa produrre, a chi venderlo ecc. e che ciò è

possibile solo una volta abbattuto i l potere dei padroni, cioè in una società

Socialista». Non a caso nello stesso volantino si polemizza con le proposte

sindacali relative alla rotazione, e si sostiene che a fronte di dubbi vantaggi

sul piano delle condizioni di lavoro starebbe la pesante condizione di fornire

il padrone di un efficace strumento per dividere meglio la classe operaia e

isolarne i settori più combattivi.

La seconda circostanza che rende necessaria una risposta politica chiara

alla linea sindacale di «contestazione dell'organizzazione del lavoro» è l'evi-

dente fascino che esercita in, settori non trascurabili della sinistra di classe.

Probabilmente i l

Manifesto

è l'esempio più clamoroso d i incomprensione

della linea strategica del sindacato se non di sostanziale aderenza alla variante

di sinistra del disegno sindacale. Non cogliere nei sinistrismi sindacali l a

necessità del recupero (formale) di tensioni che altrimenti uscirebbero dalle

sue capacità d i controllo politico, porta inevitabilmente a trascurare i l

progetto complessivo del sindacato, a civettare con i Garavini e soci e a fare

una critica al sindacato di tipo riduttivo, attaccando i l carattere pompieri-

stico di certe sue iniziative senza cogliere l'intima unità che lega i l pompie-

raggio con i discorsi sul «modo nuovo di produrre». Garavini contrabbanda

il

gruppo operaio omogeneo

come indicazione di riorganizzazione del lavoro

che garantisce i l massimo di iniziativa politica alla c.o. e si

dimentica

di

dire che i padroni ne parlano da anni come struttura che garantirebbe:

1) l'incremento della produttività e 2 ) l'autocontrollo

socio-tecnico

degli

operai del gruppo, e a ciò i l

Manifesto

ha risposto per un certo periodo

con le quattro ore di lavoro e le quattro ore di studio. Mentre nel primo caso

l'aderenza a i bisogni d i ristrutturazione dei padroni è coperta con giochi

dialettici d i prestigio, in cui in sostanza si afferma che ciò di cui hanno

bisogno i padroni è esattamente, nella fattispecie, ciò di cui hanno bisogno

gli operai, nel caso del

Manifesto

ad un impianto concettuale simile nella

sostanza corrisponde una indicazione che rivela un'incapacità strutturale di

fare politica a partire dai reali bisogni delle masse. Ovvero: come un fecondo

insegnamento della Rivoluzione Culturale Cinese può essere tradotto prati-

camente e teoricamente in termini idealistici e privi di aderenza alla realtà.

Ma questi sono gli incidenti che occorrono a chi ragiona a partire dalle

proposte d i organizzazione de l lavoro invece che d i organizzazione del

proletariato.

Sembra lecito, a conclusione di queste note, avanzare un'ipotesi gene-

rale. A partire dal '48 i l capitalismo italiano si è dato una struttura di orga-

nizzazione del lavoro entro la quale l a c.o. era considerata una

costante.

Sull'onda della sconfitta del proletariato l'iniziativa politica della direzione

capitalistica non aveva avuto grossi problemi in fabbrica. Ma dal momento

in cui la c.o. ha dimostrato di poter mettere in discussione le scelte fonda-

mentali dei padroni e di avere la forza di intaccare posizioni di potere conso-

lidate, da quel momento la c.o. è divenuta nei calcoli della direzione capita-

listica una

variabile.

Quando in un sistema di equazioni una costante diventa

variabile, se si vuole che il sistema sia determinato bisogna aggiungere un'al-

tra equazione: è i l compito che si è assunto i l sindacato: quello di riportare

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