

a tutti e tre i livelli, sia sfruttando i l risentimento popolare per manovrare all'in-
terno del regime, sia servendosi dellemanovre di corrente per influire sulla poli-
tica estera, sia infine servendosi della politica estera per manipolare le correnti
e i l popolo.
Lenazionalizzazioni degli inizi degli anni '60 fissarono la natura di classe del
regime, e verso la metà del decennio si parlava ormai apertamentedell'ascesa di
una«nuovaclasse»
(al-tabaxa al-jadida).
Per la prima volta in 10 anni si manifesta
un'opposizionepopolare: i lavoratori del porto di Alessandria entrano in sciopero,
contadini del villaggio di Khamshisk nella zona del Delta attaccanouna famiglia di
agrari locali che si è impadronita di 1300 acri, e gli studenti nelle università attac-
cano la natura burocratica dello Stato. Nasser replica facendosi lui stesso porta-
voce di queste critiche, incomincia a parlare di « nuovaclasse», di corruzione, delle
sopravvivenze del « feudalesimo» e del carattere scarsamente democratico del
partito. Così facendo, egli assolveva i l suo compito ideologico: l e critiche si
smorzarono e nonaccaddenulla. La guerra di giugno non rappresentava un consa-
pevole tentativo di dirottare questo scontento, almeno non più di quanto rappre-
sentasse un tentativo di risollevare le declinanti fortune del sionismo all'interno
di Israele. Ma la guerraavevamesso in luce la natura di classedello stato egiziano:
in primo luogo, perchè fu i l tentativo di Nasser di mobilitare le masse popolari
manipolando la questionepalestinese che diede ad Israele l'occasione di scatenare
l'aggressione; in secondo luogo, perchè la completa disfatta dell'esercito, egiziano
dimostravache non si trattava di un esercito destinato a combattere, ma un'istitu-
zione per la promozione sociale e per i l rifornimento allo Stato di quadri tecnici
eamministrativi.
Ladisfatta ha provocato una crisi sociale interna, crisi ancora una volta argi-
natadaNasser. Subito dopo la disfatta, i l 9 giugno, addossandosene egli stesso la
responsabilità,Nasser offrì le dimissioni. Ma dimostrazioni di massa,spontanee e
organizzate, gli permisero di rimangiarsi la decisione. Egli era lavato di-ogni colpa.
In quel momentoNasser rappresentava la solasperanza per le masse, a tal punto
erano prive di ogni alternativa e ipnotizzate dall'apparente distanza tra Nasser e
l'apparato militare e statale. In seguito, nel febbraio '68, quando alcuni ufficiali
processati per l'inettitudine dimostrata nella guerra di giugno subirono lievi con-
danne, ci fu un'ondata di dimóstrazioni operaie e studentesche. I dimostranti soste-
nevanoche la sconfitta era il frutto della natura corrotta e burocratica dello Stato
edell'esercito. 'Di nuovoNasser prese atto di queste critiche: fece un importante
discorso il 30 marzo 1968 promettendodemocrazia e riforme; si sarebbero dovute
tenere le elezioni e le critiche venneromessea tacere. Fu fatto un effettivo tenta-
tivo di sottrarre i l regime alle conseguenze della sconfitta, con una consapevole
campagna di spoliticizzazione. I l dibattito che era stato consentito dopo la guerra
venne troncato. I problemi militari vennero tenuti lontani dal Cairo, i prezzi ven-
neromantenuti stabili, le notizie e informazioni dal fronte, lontano non più di
un'ora di macchina, vennero censurate e manipolate per impedire che la gente si
facesseun'idea chiara della situazione.Nasser parlava di « guerra di logoramento »,
altre volte diceva che « la liberazione del Sinai è iniziata ». Ma si trattava solo di
vuota retorica: non c'eranessunapossibilità di sloggiare gli israeliani, mentre l'effet-
tivo costo della guerra ricadeva sulle spalle di centinaia di migliaia di abitanti delle
città del Canale, evacuati verso i campi profughi.
Verso la fine del 1968, nonostante la ripresa dell'opposizione popolare in
novembre, i l malcontento suscitato nellemasse dalla sconfitta era stato arginato.
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