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faceva di tutto per ricavare i l massimo dalla sua ultima concessione e a questo

fine era anche disposto a ricorrere ai colpi bassi.

Il guaio è che dal punto di vista di Nixon non esiste una soluzione « soddi-

sfacente». Se passava una legge protezionista, Nixon si trovava di fronte due

grossi nemici: le masseamericane, per via del conseguente rialzo dei prezzi, e i

governi degli altri paesi capitalistici. Un provvedimento del generedeprimerebbe

notevolmente i l commerciomondiale, e ciò comporterebbe dei gravi rischi per

l'amministrazioneperchè, se a breve termine colpirebbe di più i partner commer-

ciali dell'America che non gli stessi Stati Uniti, alla lunga sarebbe destinato a

compromettere le possibilità dell'economia americana di risollevarsi dall'attuale

depressione.

E' impensabile che una qualsiasi amministrazioneamericana voglia davvero

correre i l rischio di inimicarsi i l suo alleato n. 1 in Asia. Perciò, proprio come

il legame tra la questione dei tessili e Okinawa è emersosoltanto quando il ricatto

era già andato molto lontano, è ugualmente ragionevole sunporre che in questo

conflitto ci siéno di mezzo nroblemi economici ben più vasti. Di questi indubbia-

mente i l più importante è i l problema degli investimenti americani in Giappone.

Entro l'agosto di quest'anno praticamente tutta l'economia giapponese sarà

apertaall'investimento straniero, fino ad un limite massimo del 50 per cento del

pacchetto azionario di qualsiasi società, nelle aziende esistenti; ma nelle nuo-

veaziende la partecipazionestraniera puòesseredel 100 per cento. Il capitaleameri-

cano è estremamente interessato alla penetrazione nel mercatogiapponese — un

mercatocaratterizzato da un ritmo di esoansinnesenzauguali nel mondo e parti-

colarmenteattraente dal momento che la politica economica finora perseguita ha

«artificialmente» ritardato lo s'ultimo() dei consumi individuali (i l Giannone, terzo

paeseal mondo per Prndottn Nazionale Lordo. è soltanto al ouindicesimo nosto

per quel che riguarda i l redrlitn nro capite). Fin aui l'operazione principale ha

interessato l'industria automobilistica: la General Motors ha in nrogramma una

consociazione con la Tsuzu: la Ford con lé Toyo Kogvo: e la Chrysler con la

Mitsubishi. Gli Stati Uniti hanno premuto per assicurarsi fino alla metà del pac-

chetto di questecompagnie. I l governo nipponico, inizialmente favorevole ad una

quotamassima del 20 per cento, in gennaio ha avanzato la proposta di una quota

del

35

per cento per le società già esistenti del settore automobilistico, e del

50per centoper le nuovesocietà.Standoallaben informata «Far EasternEconomic

.Review», la propostagiapponese del

35

per cento è stata interpretata dall'indu-

stria automobilistica come una diretta conseguenzadelle forti pressioni americane

collegate alla restituzione di Okinawa (c'è naturalmente anche la pressione dei

fabbricanti d'automobili americani interessati a limitare l'importazione di auto-

mobili giapponesi negli U.S.A.).

Non è difficile comprendereperchè gli investimenti in Giappone siano così

importanti per i l capitale americano. I l rallentamento dell'economiaamericana ha

dato forte impulso allo sviluppo delle società multinazionali, e molti economisti

hannosostenuto che è stato soltanto lo stretto legame esistente tra i l capitale

americano e l'economia del MercatoComune (che non ha conosciuto un paral-

lelo rallentamento) a salvare gli Stati Uniti da una grossa crisi. I l mondoecono-

micoamericano vorrebbe stabilire dei rapporti dello stesso tipo anche con i l

Giappone.

Qual è l'equilibrio complessivo delle forze in campo? Gli U.S.A., ovviamente,

hannoun'economia più forte s e più forte significa più gigantesca. Ma l'America

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