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Ma, soprattutto, è chiaro che è stato Nixon a chiedere d i essere invi tato

e a farne una condizione per trattare: non certo perchè, da bravo avvocatic-

chio

parvenu,

voglia portare le f igl ie a fare del tur ismo un po' inconsueto,

quanto perchè attribuisce a un gesto di tal genere (e ai suoi eventuali risul-

tati) un peso propagandistico i n grado d i permettergli l a rielezione a presi-

dente e un rilancio, interno ed esterno, della sua politica. Ora, i cinesi hanno

valutato tut to questo e hanno pensato, evidentemente, che la posta i n gioco

era troppo elevata per non accettare. A Nixon serviva andare a Pechino:

lui ,

e non Rogers o al t r i . Se i n cambio si potevano sperare concessioni impor-

tanti sul Vietnam, su Formosa, sull'ONU, sul Giappone, perchè rifiutargl ielo?

E allora, è proprio al disegno generale, alla logica complessiva della poli-

tica estera cinese che occorre tornare, pe r cercare d i capi r la e cr i t icar la.

Ora, a me sembra che i cinesi ragionino press'a poco così: « In tut to i l mondo

ci sono sfrut tat i e sfruttatori, lotte di classe, masse che lottano contro i loro

padroni, ecc. Pérò, d i fat to, noi non possiamo contare mol to su questo ( a

parte l'Indocina, che ci riguarda direttamente, come un tempo la Corea, per-

chè fa parte della nostra frontiera). Non c'è nessuno, a parte le buone inten-

zioni, che sia i n grado d i aiutarci a sopravvivere. Quindi dobbiamo cavar-

cela da noi, come possiamo, con i nostri mezzi, perchè salvare la Cina vuol

dire. salvare, per i l futuro, l e sor t i de l comunismo mondiale. I popol i d i

tutto i l mondo faranno le loro rivoluzioni un giorno, ma siccome quel giorno

potrebbe essere lontano, non possiamo rischiare che ne l f rat tempo USA,

URSS e Giappone strangolino la nostra rivoluzione. A l contrario, dobbiamo

rompere l'accerchiamento, rafforzarci, dividere i l nemico, concentrare sapien-

temente le forze dove è più debole, sconfiggerlo una battaglia per volta. Dob-

biamo estendere sempre più la nostra influenza, perchè questo vuol di re an-

che estendere, gradualmente, l ' influenza del comunismo e del la rivoluzione,

fino al giorno in cui i l nemico crollerà. Se nel corso di questo cammino lasce-

remo sulla nostra strada delle vittime, pazienza. Vor rà dire che i tempi non

erano matur i e che occorreva pagare quel costo ».

Se questa mia interpolazione non è sbagliata, cosa si può rispondere? La

domanda. è imbarazzante. La storia del movimento operaio è ricca d i discus-

sioni teoriche (da quella su Brest-Litovsk in poi), ma le esperienze reali (dal-

l'URSS a Cuba) lasciano per ora i r r i so l o questo problema. l a possibilità d i

conciliare la sopravvivenza del comunismo i n un paese con lo sviluppo della

rivoluzione mondiale. I o credo che la soluzione possa venire solo dal la pra-

tica, e cioè appunto dal lo svi luppo del la rivoluzione mondiale, da l nascere

o dal rafforzarsi d i a l t r i pol i d i attrazione rivoluzionari. M i sembra quindi

(per quanto banale e scontato questo possa sembrare) che la pr ima risposta

che le avanguardie rivoluzionarie possano e debbano dare ai compagni cinesi

sia una risposta pratica: fare la rivoluzione in casa propria. Solo così le zone

conquistate potranno essere basi rosse da cui si va all'assalto, e non trincee

fortificate i n cui ci si difende. E potranno collegarsi i n una vera Internazio-

nale rivoluzionaria.

Ma questa non è la sola risposta che si può dare ai compagni cinesi.

Già

oggi

i

cinesi non sono soli,

a meno che non si voglia ragionare esclusivamente

in termini d i governi. Occorre che l o capiscano. Occorre che capiscano che

l'imperialismo nel suo complesso è minato e scosso al suo interno (e non solo

nelle zone di contatto e di at tr i to con i l Terzo Mondo) da una crisi t ra le più

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