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almeno d i mobilitare gl i operai consapevolmente per modificarla ( d i fatto

le lotte operaie affrontano già da tempo aspetti dell'attività in fabbrica e

delle retribuzioni che direttamente o indirettamente incidono sulla divisione

del lavoro e che comunque ne discendono, ma il tema non era stato mai affron-

tato così esplicitamente). Discende anche però dalla incapacità di affrontare

il problema a livello della società e dalla innaturale limitazione alla fabbrica,

allo scontro diretto con i l padrone, di affrontare ciò che è più generalmente

politica e comporta modificazioni che toccano la società intera, dalla scuola

all'agricoltura o alla burocrazia dello stato. Affrontare i l problema a livello

della società richiede analisi, aggregazioni politiche e forme di lotta che per

ora non esistono. Almeno a livello di fabbrica si ha una controparte precisa

e, se si è in grado di dettagliare le proprie richieste, anche la forza necessaria.

Si hanno anche però limitazioni insormontabili per cui tutt'al più si arriva a

concepire posti di lavoro un po' meno faticosi e operai un po' meno sfruttati.

Anche tenendo conto di questo si tratta di uno sforzo tutt'altro che inutile

o indegno perchè smettere di considerare l a fabbrica come una macchina

immodificabile, di cui si può al massimo cambiare i l padrone, è una condi-

zione indispensabile pe r affrontare i l problema e risolverlo a livello d i

società.

• L e tensioni in fabbrica sono tanto forti, a prescindere dall'azione organiz-

zata dei sindacati, che la insostenibilità dell'attuale organizzazione del lavoro

comincia a diventare evidente anche dal punto di vista dell'efficienza produt-

tiva. Non sono poche le grandi aziende che si sono poste « autonomamente »

(cioè senza nessun intervento esplicito delle organizzazioni operaie) i l pro-

blema di modificare l'organizzazione della produzione per rendere le mansioni

più compatibili con i l normale funzionamento della testa di un uomo. Un

caso recente e clamoroso è quello della Philips, che nei propri stabilimenti,

anche italiani, ha cominciato ad abolire la distinzione tra addetto macchina

manutenzione attrezzaggio e controllo di qualità. Lo stesso operaio che f a

funzionare la macchina, la prepara, la mette a punto, controlla che funzioni

a dovere o la ripara, se gli inconvenienti non sono gravi, e infine si accerta

che i prodotti abbiano i requisiti richiesti. Non ci sono controlli rigidi sui

tempi; si fa la manutenzione quando lo si ritiene opportuno; ma si è respon-

sabili della qualità dei pezzi. Mol t i caposquadra spariscono e spariscono

molti crionometristi e controllori. Pare che le modifiche diano risultati positivi

secondo) i criteri del padrone: produttività e pace sociale.

Non si tratta quindi di inserirsi in un universo statico: si tratta di inse-

rirsi i n un sistema in rapido mutamento. I l vecchio modo di produrre, le

gerarchie verticali, l'accentramento, le catene rigide, la parcellizzazione, sono

in crisi almeno quanto lo è i l vecchio meccanismo di accumulazione basato

sui bassi salari e sul cronico ritardo delle retribuzioni operaie rispetto alla

produttività. Tra dieci anni, a meno di improbabili anche se temibili ritorni

autoritari, le fabbriche saranno senz'altro diverse da ora. Si tratta di vedere

se gli operai conteranno più o meno di ora; se saranno più o meno autonomi,

consapevoli, organizzati e forti; se si ammaleranno di più o di meno. I l metro

per valutare la piattaforma e il convegno deve essere questo. Non è la modifi-

cazione o la proposta di modificazione in sè che è positiva. Bisogna vedere

se quel che si chiede e le lotte che si fanno migliorano o no dal punto di

vista operaio la inevitabile trasformazione in atto.

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